di ANGELO RUSSO-
VITERBO- La Macchina di Santa Rosa e il suo Trasporto per noi Viterbesi non sono un mistero, purtroppo non tutti conoscono questo splendido evento. Vi racconterò cosa successe nel 1994. Ma andiamo per ordine, per chi non conoscesse di cosa stiamo parlando, è utile una premessa.
A Viterbo ogni anno, ormai da secoli, il 3 settembre si ripete uno spettacolo unico al mondo: il Trionfale trasporto della Macchina di Santa Rosa. L’evento, per l’alto grado di spettacolarità, e per la devozione che il popolo ha per la sua Santa, è foriero di forti emozioni. Si tratta di un campanile alto circa 30 metri, del peso di una cinquantina di quintali, composto da un traliccio metallico decorato architettonicamente all’esterno con simboli che, il più delle volte, rimandano alla vita della Santa vissuta e morta a Viterbo (9 Luglio 1233 – 6 Marzo 1251). Il trasporto, facente parte delle feste religiose in cui si trasportano le grandi macchine a spalla italiane nel 2013 è stato riconosciuto parte del Patrimonio immateriale dell’umanità dell’UNESCO. Il riconoscimento è stato conseguito a Baku in Arzebaijan, nell’ambito dell’VIII Comitato intergovernativo. La torre, illuminata da fiaccole a fiamma viva e luci elettriche, viene portata sulle spalle, di notte per le vie strette della città, attraverso un percorso di poco più di un chilometro da oltre 100 uomini vestiti di bianco con una fascia rossa, nella cinta, chiamati “Facchini di Santa Rosa”. La mole, che con la sua altezza supera i tetti delle case, sfila per le vie buie del centro storico, riverberando la sua luce, oltre che sulle case, su ali di folla esultante e commossa. La “Macchina” è disegnata da artisti, architetti, creativi in genere e ad oggi per lo più viterbesi. È possibile partecipare alla sua realizzazione aggiudicandosi il bando di gara che viene indetto dal Comune ogni 5 anni. Da qualche anno i concorsi sono diventati due: uno per l’ideazione e l’altro appalto concorso per la realizzazione.
Il capitolato prevede la costruzione di una Macchina «alta 28 metri sopra la spalla dei facchini» che raggiunge quindi circa 29,50 metri da terra, e fissa alcune misure limite, anche in base alle vie del centro storico. Per avere l’esatta dimensione dell’evento, per quanto si possa immaginare, non vale nessuna descrizione: deve essere visto.
Il fatto insolito.
Era l’anno 1994 quando una guida informativa sulla Tuscia, scritta da autori inglesi, dedicava poche righe alla Macchina di Santa Rosa, riducendola ad un semplice simbolo fallico, portata a spalla da uomini virili, sminuendo in qualche modo l’aspetto storico culturale e religioso. A Viterbo fu subito polemica: la stampa locale per alcune settimane raccolse i pareri, indignati, della gente. Tutti insorsero. Prima i facchini, successivamente anche politici, uomini di cultura e semplici cittadini.
L’argomento mi “tocca” in modo particolare essendo investito dal doppio ruolo: da psicologo, in questo contesto, ma anche da artista autore della Macchina di Santa Rosa “Sinfonia d’Archi” sfilata per le vie della città dal 1991 al 1997. Allora per partecipare al concorso, che era unico, l’ideatore doveva presentare la sua proposta realizzativa composta da disegni e plastico in scala 1:20 e associarsi con tutto lo staff tecnico per la realizzazione, (Costruttore, Garante, Tecnico abilitato per la firma della struttura portante, addetti all’illuminazione).
Non dovevano certo giungere degli autori d’oltre manica per ricordarci che, Freud, nei suoi primi scritti, tacciò di simbologia fallica tutti gli oggetti appuntiti e/o con uno sviluppo in altezza.
Anche se, a questa affermazione, le contestazioni non mancarono. Carl Gustav Jung, l’allievo, esclamò riflettendo su alcune teorie del maestro Sigmund Freud: “non è possibile che Freud interpreti come una sorta di attività sessuale perfino succhiare il latte dal seno materno da parte del bambino. Non è possibile che tutto debba essere sempre e comunque ancorato alla sessualità.”
Era l’anno 1912. Successivamente in seguito a punti di vista sempre più divergenti, le strade dei due grandi della psicanalisi si divisero. Fu per sempre. Freud è riconosciuto universalmente come il più grande nel vasto panorama della psicanalisi, il pioniere.
Ebbe l’intuito e la genialità di elaborare del materiale che prima di lui era scarsamente preso in considerazione. Con le sue teorie sconvolse i concetti di patologia mentale, tanto da incidere in modo rivoluzionario sulla letteratura che si occupava della personalità e delle differenze individuali.
Non è irragionevole l’ipotesi di riconoscere in Jung l’uomo che più di ogni altro ha saputo ampliare la disciplina psicanalitica, attribuendo ad essa un significato più esteso, tanto da abbracciare i molteplici aspetti dell’umana esistenza, rendendo la sua “psicologia analitica” quanto di più ampio e completo possa esserci nel campo delle scienze del profondo.
Questa premessa è utile per poter affrontare, con un approccio scevro da fattori emotivi, l’argomentazione legata a delle affermazioni degli autori inglesi. I due avrebbero attribuito alla macchina di Santa Rosa una “simbologia fallica”, esempio di una cultura maschilista volta alla dimostrazione della supremazia della virilità. Ci può anche stare ma è una semplificazione riduttiva e nel caso specifico superficiale o quanto meno incompleta.
Freud nella formulazione della sua teoria parlando di “fase fallica” riconobbe in essa un momento evolutivo nei due sessi, correlandola al complesso di Edipo.
Dopo tale formulazione la letteratura specialistica ha associato un valore al “simbolo fallico” che comunque va al di là della sola virilità maschile, rappresentando più ampliamente la virilità trascendente magica e soprannaturale e non solo la varietà puramente fallica del potere maschile.
È semplicistico e riduttivo, in ogni caso, abbinare simbolicamente a tutti gli oggetti che hanno una forma che sviluppa in altezza l’interpretazione di “simbolo fallico”, in tale modo si nega il contesto storico, culturale e personale. Fu Jung a correlare gli avvenimenti umani alle origini più antiche che nascono nella notte dei tempi. Per spiegare i fenomeni psicologici si avvalse, oltre che delle scienze classiche anche della mitologia, oltre che, dell’alchimia e dell’archeologia.
Si deve a Jung l‘elaborazione del concetto di “inconscio collettivo” quella sorta di psiche oggettiva che è composta dagli archetipi. Questi ultimi rappresentano il materiale strutturante di base, di tale psiche, e tendono ad assumere spesso un significato mitologico o religioso.
Gli archetipi ci mettono in condizione di affrontare l’esperienza secondo modalità conformi ai modelli già presenti nella psiche, inoltre organizzano anche le percezioni e le esperienze per renderle conformi al modello. Jung affermava che ci sono tanti archetipi quante sono le situazioni della vita.
Figure archetipe: madre, bambino, padre, Dio, Santi, vecchio saggio, ecc. Eventi archetipici: nascita, morte, separazione dei genitori, corteggiamento, matrimonio, ecc. E oggetti archetipici: acqua, sole, luna, animali predatori e tanti altri.
Ognuno di questi elementi è la parte della dotazione totale che ci è trasmessa dall’evoluzione allo scopo di equipaggiarci per la vita. Per esempio intorno all’archetipo della madre si possono trovare immagini religiose e mitologiche come la “Vergine Maria” dell’immaginario collettivo cristiano, oltre che le immagini della grande madre pagana.
Non mi sembra azzardato affermare che, la macchina di Santa Rosa, così ancorata con la sua tradizione alla vita della Santa, rappresenti nell’inconscio dei viterbesi, un simbolo di fede, misticità religiosità e amore.
La macchina nei vari secoli si è innalzata fino a posizionare la Santa ad un’altezza dalla quale potesse proteggere simbolicamente i Viterbesi. È solo in onore esclusivo della piccola Rosa che il popolo, attraverso gli ideatori e i costruttori che si sono susseguiti, ha voluto che la statua fosse così in alto, e i facchini, nonostante il loro immane sforzo, quando escono da sotto la “base” la sera del 3, prima di tornare, stanchi, nelle loro case hanno ancora la voglia di alzare lo sguardo verso di lei, Rosa, e rinnovare un patto d’amore che dura da secoli.