Filippo Gorini e il suo progetto ‘Sonata for 7 cities’ (II Parte)

Incontriamo il giovane pianista per un’intervista in due puntate circa la sua nuova impresa musicale e umanitaria in sette città del mondo. (Parte seconda)

di CINZIA DI CHIARA-

Il nostro dialogo col pianista Filippo Gorini riprende alla conclusione della tappa viennese, la prima del suo Progetto ‘Sonata for 7 cities’, residenze artistiche di un mese a Vienna, Città del Capo, Hong Kong, Portland, Bogotà, ancora da definire la tappa australiana, e infine Milano, dove il pianista brianzolo terrà i suoi concerti, sia in sale prestigiose sia presso comunità in difficoltà, proponendo l’ascolto di opere di giganti del passato, ma, in più, ogni volta in prima assoluta, una sonata per pianoforte appositamente commissionata a compositori contemporanei.

A proposito del suo progetto delle ‘7 città’ in giro per il mondo, come nasce la strutturazione della residenza di un mese, chi organizza gli incontri, oltre ai due concerti canonici, in collaborazione con le istituzioni locali?

Sono supportato da un’istituzione concertistica importante in ciascuna delle città che mi ospitano: a Vienna il Konzerthaus, a Milano la Società del Quartetto, altrove saranno quelle istituzioni locali che si occupano di organizzare il concerto pubblico ad aiutarmi logisticamente in un lavoro di squadra per organizzare gli altri appuntamenti. Io metto a disposizione un mese del mio tempo onde realizzare tutto questo e suonare in ospedali piuttosto che in scuole senza percepire alcun compenso. Le sponsorizzazioni che ho ricevuto con il “Franco Buitoni Award” mi permettono di sostenere le spese di un mese di soggiorno e quando necessario di portare un pianoforte in una struttura. A Vienna la disponibilità di pianoforti presso scuole e ospedali è sorprendente, vi sono strumenti ovunque. Nel caso in cui non ve ne fossero, ha provveduto la casa Steinway, gratuitamente.

-Per attuare un progetto così impegnativo ha dovuto cancellare dei concerti?

Ho cercato di spostarli, laddove possibile, altrimenti ho rischiato di perderli, ma, lo sottolineo, per me tale esperienza artistica e umana vale la pena.

Lei è figlio di due scienziati. Aver respirato in famiglia il clima culturale che accompagna le persone dedite allo studio e alla ricerca ha contribuito affinché il suo impegno divenisse una vera missione?

Come sono solito affermare, dalla mia famiglia ho ricevuto molto. Il suo ruolo è stato importante nel farmi conoscere la musica, poiché mio padre suonava il pianoforte. In casa c’era uno strumento e ascoltare musica costituiva un’abitudine. Importante da parte dei miei anche il merito di non forzarmi mai a studiare, lasciando che il mio cammino verso la musica fosse libero. Essi hanno lasciato che io conducessi un percorso nel quale l’amore per il mio strumento diveniva sempre più serio e allorquando ho avuto bisogno di un pianoforte a coda sono stati subito disponibili. Inoltre, mi hanno donato valori umanamente solidi. L’educazione che ho ricevuto è quella datami dai miei genitori, dai miei insegnanti, dalle mie scuole.

Quali riscontri ha avuto intorno a sé, di questo progetto, con i colleghi?

Ho raccolto un entusiasmo diffuso e ora molti musicisti vorrebbero offrire il loro servizio in modo simile al mio. Non tutti purtroppo sono nella posizione di poterselo permettere. Effettivamente io sono privilegiato, posso prendermi un mese per offrire concerti senza compensi mentre altri musicisti, soprattutto fra i giovani, non possono per questioni economiche. E in molti mi chiedono spiegazioni e consigli per realizzare questa idea.

Certamente un’idea che troverà proseliti

Sì, tanto che il progetto “Sonata for 7 cities” è diventato un’associazione no profit, mezzo per raccogliere fondi, che serviranno anche ad altri artisti oltre a me, per consentire residenze di questo tipo.

A Vienna, in collaborazione col Konzerthaus, con la casa Steinway e con altri collaboratori ho fondato una rete di luoghi idonei cosicché non sarà difficile per altri artisti partecipare a questo stesso progetto.

Il futuro della mia idea sono i nuovi artisti che riuscirò a coinvolgere nel portare la musica nel mondo secondo le istanze programmatiche fondanti: io posso dedicare un mese a una città, dieci artisti possono dedicare dieci mesi a dieci città e, se il progetto individuale diviene invece un movimento, la sua valenza risulterà moltiplicata.

Vienna è dunque il primo passo di questo grande giro del mondo. Come ha trascorso gli ultimi giorni prima di lasciarla?

Ho cercato di salutare i luoghi che in questo mese mi sono rimasti più cari e di visitare gli ultimi musei non ancora visti. Poi, sono tornato ad ascoltare Mao Fujita, già sentito con la Camerata Salzburg diretta da Oscar Jockel, uno dei concerti più belli che io possa ricordare: un suono di una poesia, di una quantità di colori, di una bellezza! E tutta la semplicità di un ragazzo che sembra totalmente disinteressato ad apparire o a conquistare il successo, completamente rapito dall’incanto di ciò che suona, la musica di Mozart, in una maniera come pochi sono in grado di fare. Da Radu Lupu non mi capitava più di sentire un Mozart così poetico. La loro personalità certamente è diversa. Rispetto a Fujita, Lupu appare più introspettivo, di una tristezza profonda, commuove tantissimo. Mao è anch’egli introverso, comunica in modo poetico, sembra che le note, una ad una, non appoggino mai in terra ma siano sempre leggere, vaporose, ed esistano nelle sfere celesti. Tuttavia, la sua è un’introversione positiva, col sorriso su ogni nota.

–  Ma non abbiamo ancora parlato dell’aspetto del suo progetto riguardante la musica contemporanea

Sì, ho commissionato brani per ogni città toccata dal progetto, per un pubblico non soltanto intellettuale ma per persone di ogni tipo.

La sua premessa lascia arguire che desideri opere non concepite ‘in laboratorio’, visto che la musica contemporanea è spesso considerata qualcosa di sempre più avulso dall’uomo e dalla società

Il ‘900 è stato un secolo davvero complicato che ha generato musica che amo moltissimo, estremamente complessa e talora difficile da presentare al pubblico, cosa che tuttavia io insisto nel fare con convinzione. Sono innamorato del valore di questo repertorio, tanto quanto lo sono di Beethoven. Quale committente ho inteso sottolineare ai compositori che la loro opera non è destinata all’esecuzione, una o due volte, in una rassegna di musica contemporanea per essere poi messa via, ma per essere suonata. Volevo innanzitutto un’opera importante non un pezzetto da due minuti. Ad esempio, la sonata di Stefano Gervasoni dura ventidue minuti in un’unica grande arcata musicale dalla densità espressiva fortissima: un pezzo che a Vienna ha ottenuto presso il pubblico lo stesso successo della 111 e di Schubert. Questo mi ha dato una soddisfazione enorme poiché trovo che sia davvero unica, poeticamente ispirata, costruita con tecniche, linguaggio e armonie che derivano dalla conoscenza di tutto il ‘900, dunque musica non semplice, affatto scontata, ma che si sente provenire da un cuore molto forte.

–  Contribuire alla diffusione della musica contemporanea è impresa importante

Riconosco che vi sono repertori e compositori dalla valenza molto incisiva, che deve essere valorizzata, tanto più che, nel mondo musicale, spesso la contemporanea si separa dal repertorio della tradizione: vi sono rassegne apposite, un pubblico specifico, esecutori specializzati e ciò, per me, rischia di ghettizzare opere significative, quindi il repertorio ne soffre.

–  Paradossalmente la contemporanea pare talora distaccata dal tempo attuale, che è il tempo suo proprio, e piuttosto di nicchia a livello di pubblico e di fruizione

Non per responsabilità dei compositori. Oggi è molto facile dire che i compositori non scrivono per il pubblico. Essi scrivono in maniera urgente e profonda per sé stessi come hanno fatto i loro predecessori e per il mondo. Il rapporto più o meno agevole che si instaura con la realtà e con il pubblico è anche mediato da noi interpreti. Dipende dalla cura con la quale eseguiamo queste opere, a dire il vero non sempre ben eseguite. Dipende dal modo di programmarle insieme ad altri capolavori, nonché dalla fiducia che abbiamo nei compositori. Decidere di suonare Gervasoni per pazienti psichiatrici è un atto di fiducia nella carica emotiva di questa musica e nel suo vigore espressivo e sotto tale aspetto io avverto, nel dipanarsi del brano, la gratitudine dell’autore e la sua ispirazione nell’atto compositivo.

  • Dunque com’è andata con la Sonata di Gervasoni?

La Sonata è stata proposta non solo a uno di quei meravigliosi circoli, e non intendo minimamente criticare il pubblico della musica contemporanea che è splendido, è uno dei pubblici più curiosi, più vivaci e aperti che si possano incontrare, ma nella mensa dei senzatetto.

Credo che per me e per Stefano poter offrire questo pezzo non solo a un’élite intellettuale, bensì spalancarlo a un’umanità molto più vasta, sia stato motivo di forte ispirazione, per lui nella composizione, per me nello studio.

Tra i compositori ho cercato di trovare figure che io stimassi e nella cui musica credessi con quel grado di fiducia che ho descritto. E con tale spirito, ho dato l’incarico di creare un’opera nuova a nomi di tutte le età, come Oscar Jockel, il direttore che ha diretto Mao con la Camerata Salzburg, un ragazzo della mia età che nel ruolo di compositore scriverà il brano destinato all’esecuzione nella tappa in Australia, fino a compositori come Beat Furrer, che invece ha già più di settant’anni, e, allo stesso tempo, a figure provenienti da realtà personali molo varie, come Yukiko Watanabe, giovane compositrice giapponese che scriverà il brano per la tappa in Colombia del mio progetto. L’uno accanto all’altro, due mondi che ho visitato lo scorso anno pressoché incompatibili: il silenzio e la ritualità del Giappone contrapposti alla forza selvatica, ai colori, alla danza e al rumore onnipresente di quella splendida terra che è la Colombia.

Tutto ciò mi ha permesso di creare dei ponti, anche grazie alla collaborazione con Ruggero Romano, regista di Torino residente a Venezia, specializzato in documentari sociali. Colpito dalla mia iniziativa questi ha deciso di raccontare il mio viaggio in sette episodi da una mezz’oretta ciascuno.

  • Praticamente, sulla scorta delle precedenti puntate dedicate all’Arte della Fuga di Bach, realizzerà dei filmati per ciascuna tappa del suo viaggio

Stavolta ogni film racconterà trenta giorni di incontri con persone, realtà, paesaggi umani, protagonista la musica che incontra un pubblico eterogeneo, mentre io sarò uno dei personaggi del documentario. Ci teniamo molto entrambi, il regista ed io, che protagonista sia l’incontro tra la musica e un popolo.

Il modo di impiegare la sua arte in favore delle necessità spirituali di gruppi umani disparati sembra essere una formula inedita e, quale promotore, lei vi ricopre un ruolo fondamentale, per una musica che si apre al nuovo con la collaborazione del regista, il documentario, gli istituti sociali: lei ha creato tutto questo

Grazie di questa considerazione. Io cerco di fare ciò in cui credo. Col passare del tempo vengo a conoscenza di situazioni, scopro strutture e, avendo autonomia di azione, questi ne sono i frutti: poter portare la musica in una sala stupenda o a un pubblico che ha bisogno di ricevere del bene. Essermi creato uno spazio di azione a Vienna, ove ho proposto un programma che amo infinitamente in ogni singola nota compresa un’opera scritta apposta per me, è esperienza che sognavo e ora sto realizzando. Spero di poter lavorare come artista, in futuro, nel modo più personale possibile, cioè con la libertà di agire secondo ciò che maggiormente sento di autentico e sincero.

Sembra di scorgere in questo suo proclama una nuova immagine di artista e di musicista, vantaggiosa e benefica per il nostro tempo e per le sue necessità. Tutto ciò sembra sgorgare da una mente colta unitamente a un cuore che trapela da tutto quanto lei ha illustrato

La ringrazio, ma mi premeva che un programma al quale dedico tanto studio e tanta passione al momento dell’esecuzione venisse registrato per tutto il pubblico internazionale, pertanto i recital in ciascuna città saranno registrati e pubblicati in versione discografica sia in video

Una registrazione non comoda, lontana dalla casa d’incisione

L’obiettivo non è quello di realizzare un prodotto perfetto dell’ideale interpretativo di Filippo Gorini. In questo momento sono molto più interessato al radicamento della musica nella società, dal vivo. Il disco è un documento che riassumerà mesi di incontri di questa musica con il mondo.

  • La prossima tappa?

Città del Capo, in settembre. Ma prima, passando da Ferrara verrò una settimana a Roma, dove sono atteso a fine mese per insegnare nel contesto dell’Avos Music Project, farò un paio di incontri con delle classi di liceo e il prossimo 27 marzo suonerò l’op. 111 di Beethoven e la Sonata in Si b di Schubert al Teatro Argentina per l’Accademia Filarmonica Romana.

Per una settimana all’anno, sebbene in forma ridotta rispetto a ciò che ho potuto fare a Vienna, mi dedicherò anche alla città di Roma.

Mentre ringrazio Filippo Gorini di aver condiviso le istanze più intime e spirituali circa la sua arte, credo una volta di più che la bellezza possa fare molto per il mondo. E che al mondo vi sia sempre qualche protagonista che ha ben presente tale concetto e lo applica nel proprio vivere, così salvando la bellezza stessa.

 (Intervista raccolta il 12 marzo 2025)

 FILIPPO GORINI CHI È

 “Sogno di suonare dove c’è qualcuno che vuole ascoltare, in Giappone, Italia o America, in una sala da concerto o in una casa di riposo.”

Nato nel 1995 da genitori fisici nucleari (il padre, Giuseppe, è direttore del Dipartimento di Fisica all’Università agli Studi di Milano-Bicocca ed è stato insignito del premio Artoran nel 2022), Filippo Gorini si è avvicinato al pianoforte all’età di quattro anni. Tra le sue passioni la scrittura e la matematica, tra i sogni quello della regia.

Diplomatosi con Maria Grazia Bellocchio al Conservatorio “G.Donizetti” di Bergamo con lode e menzione d’onore e perfezionatosi con Pavel Gililov, presso il “Mozarteum” di Salisburgo seguito anche da Alfred Brendel, Gorini nel 2015 ha vinto il premio Telekom-Beethoven di Bonn.

Musicista che non si limita al mero virtuosismo, ha avuto altri importanti riconoscimenti, anche per il suo primo album con le Variazioni Diabelli di Beethoven nel 2017 e per la registrazione, per Alpha Classics, di opere tarde di Beethoven e Bach: un Diapason d’Or Award e recensioni a 5 stelle su The Guardian, BBC Music Magazine, Le Monde.

Ha ottenuto altresì il “Borletti Buitoni Trust Award” nel 2020, grazie al quale è nata l’idea del progetto multidisciplinare “Arte della Fuga” e, a seguire, il “Premio Abbiati” quale migliore solista del 2022.

A tali riconoscimenti si aggiungono il Premio “Una vita nella musica – Giovani” 2018, assegnato dal Teatro La Fenice di Venezia, il “Beethoven-Ring” conferito dall’associazione “Cittadini per Beethoven” di Bonn (2016), il premio del Festival “Young Euro Classic” di Berlino (2016).

Collabora con orchestre importanti, come l’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo, l’Orchestra Verdi di Milano, l’Orchestra di Santa Cecilia di Roma, l’Orchestra Sinfonica del Lichtenstein, la Filarmonica Slovacca, l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, la Klassische Philharmonie di Bonn, la Nagoya Filarmonica, l’Orchestra Sinfonica delle Fiandre, la Filarmonica Gyeonggi di Seul, l’Opera Nacional de Chile, invitato sempre presso sale prestigiose, tra le quali la Elbphilharmonie di Amburgo, la Herkulessaal di Monaco, la Tonhalle di Zurigo, il Konzerthaus di Berlino, il Teatro alla Scala di Milano, la Carnegie Hall di New York, il Concertgebouw di Amsterdam, il Konzerthaus di Vienna, la Wigmore Hall di Londra, la Van Cliburn Foundation, la Vancouver Recital Society.

In Italia si esibisce per la Società del Quartetto di Milano, il Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo, l’Accademia Filarmonica Romana, l’Unione Musicale di Torino, la GOG di Genova, Ravenna Festival, Bologna Festival, Ravello Festival.

Incide in esclusiva per Alpha Classics/Outhere ed è stato lodato da Andrei Gavrilov come “musicista con una combinazione di qualità artistiche rare: intelletto, temperamento, ottima memoria, immaginazione vivida e grande controllo”.

 

 

 

 

 

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