di CHIARA TOSARONI-
VITERBO- Dalle architetture conventuali di Santa Maria della Quercia e di Santa Maria in Gradi, si è sviluppato il viaggio nella memoria storica e spirituale della Città di Viterbo proposto questo pomeriggio da padre Antonio Coccolicchio, provinciale dei Padri Domenicani del Centro Italia.
L’incontro si è svolto presso il Museo della Ceramica della Tuscia, a Palazzo Brugiotti, sede della Fondazione Carivit e ha rappresentato un nuovo appuntamento della XV edizione dei Pomeriggi Touring 2025, organizzati dal gruppo consolare di Viterbo del Touring Club Italiano. La rassegna, iniziata a gennaio, proseguirà fino al 30 maggio, animando le sale del museo con un fitto calendario di incontri culturali dedicati alla storia cittadina e al patrimonio religioso.
Ad apire il pomeriggio con un riferimento alla chiesa di Santa Maria in Gradi, è stato Vincenzo Ceniti, che nel suo intervento ha annunciato una visita guidata al Frantoio del Paradosso prevista per giovedì 12 aprile.
Protagonista dell’incontro, padre Antonio Coccolicchio ha ripercorso i momenti salienti della presenza domenicana nella Città di Viterbo, soffermandosi in particolare sui conventi di Santa Maria della Quercia e di Santa Maria in Gradi.
Nel suo intervento, padre Antonio ha delineato un ampio quadro storico, ricordando come Viterbo sia stata, nel corso dei secoli, crocevia di almeno sei importanti ordini religiosi. Partendo dalla figura di San Domenico, ha sottolineato la scelta strategica dell’ordine domenicano di affidarsi alla cultura, alla conoscenza della Sacra Scrittura e a una condotta di vita rigorosa come strumenti per contrastare l’eresia catara. Una linea d’azione che trovò piena legittimazione nel concilio convocato da Papa Innocenzo III nei primi anni del duecento, proprio a Viterbo, per far fronte alla crescente diffusione del catarismo, considerato una minaccia concreta alla dottrina cristiana.
Particolare attenzione è stata dedicata alla rete conventuale sviluppatasi in Città. Oltre ai domenicani, si insediarono anche carmelitani e altri ordini mendicanti, i cui conventi venivano spesso edificati in prossimità delle porte urbiche, favorendo così la predicazione e il contatto diretto con la popolazione. Le architetture conventuali, ha evidenziato padre Coccolicchio, rispondevano spesso a schemi geometrici ben precisi , triangolari o a croce e riflettevano l’identità e le esigenze del singolo ordine. A Viterbo, in particolare, si distinguono ancora oggi le tipologie riconducibili ai domenicani, francescani e agostiniani.
Ampio spazio è stato dedicato alla storia del convento di Santa Maria della Quercia, vero centro di formazione e cuore pulsante della vita religiosa domenicana. Grazie alla sua posizione strategica e alla rigorosa osservanza della regola, fu a lungo sede del noviziato e punto di riferimento per l’intera provincia religiosa. La soppressione avvenuta nel 1810 portò alla chiusura del convento, con l’unica eccezione di padre Pio Semeria che scelse di non abbandonare l’abito. Solo nel 1816, con il ritorno del potere papale, il convento conobbe una nuova fioritura, fino alla chiusura definitiva nel 1933.
Un altro importante capitolo è stato dedicato al complesso di Santa Maria in Gradi, fondato per volontà del cardinale Raniero Capocci. Nato con una funzione non solo religiosa ma anche difensiva, il convento si arricchì nel tempo con un chiostro marmoreo e un ospedale, diventando anche luogo di sepoltura ambito dalle famiglie viterbesi più prestigiose. Oggi, l’antico complesso accoglie la sede del rettorato dell’Università degli Studi della Tuscia, testimoniando la continuità tra passato e presente nella valorizzazione del patrimonio architettonico cittadino.