“Non ce la Beviamo” interviene sul problema arsenico nell’acqua: servono i contributi statali

di SIMEON SCANLON-

VITERBO- Servizio idrico viterbese: di questo si è discusso stamani presso il bar XO in Via Fernando Molini nel corso della conferenza indetta dal comitato “Non ce la Beviamo”. Gli organizzatori hanno subito precisato di aver scritto una lettera che verrà inviata a vari esponenti del governo locale, nazionale ed europeo per risolvere la problematica dell’arsenico, per poi passare a criticare la mancanza di importanza che viene assegnata dall’amministrazione e dal Comune di Viterbo all’emergenza nell’ambito del servizio idrico. La coordinatrice del comitato Non ce la beviamo Paola Celletti ha evidenziato come per il risolvere il problema dell’arsenico e della potabilità dell’acqua servano i contributi della stato.

La prima esperta ad intervenire è stata Antonella Litta di Ass. Medici per l’Ambiente ISDE, organizzazione che lavora su questo tema da quando l’UE ha riconosciuto l’arsenico come una sostanza cancerogena. Il Viterbese presenta molti casi di malattie legate all’arsenico, al radon e ad elementi presenti nei pesticidi che inquinano le nostre acque. Ci dice che rendere l’acqua potabile non è difficile, richiede principalmente investimenti in un’espansione del progetto dei dearsenificatori, ma continuare a consumare acqua tossica porta a casi di tumori nei reni, polmone e pelle, a malattie cardiovascolari e metaboliche, diabete e leucemia, che possono essere tutte causate dall’arsenico. 
Carlo Lavalle, portavoce del comitato di quartiere S.Pellegrino- Centro Storico, ha focalizzato l’attenzione sulla presenza di acqua tossica a Viterbo. Dicendo “qualcosa non va, c’è del marcio sotto” e cita uno studio che ritrova che anche sotto ai limiti di arsenico stabiliti dalla legge rimane il rischio di mortalità, che peggiorano con l’esposizione nel tempo. Un pacchetto del PNRR chiamato “Pacchetto Acqua” mette da parte 4,4 miliardi di euro anche per la potabilizzazione, ma i governi della Tuscia ancora non ne hanno accesso. Chiude spiegando che la zona dell’Appennino centrale ha un rischio medio di disponibilità dell’acqua, con una tendenza verso il peggioramento a causa della crisi climatica.

Altri interventi hanno rimarcato l’emergenza della potabilità ed il fermo no alla privatizzazione delle risorse idriche nella Tuscia, evidenziando anche la mancanza della pubblicazione di tutti i rilevamenti fatti dall’ARPA Lazio e di un appropriato senso di urgenza.

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