Papa Francesco, sulle rive del Lago Sant’Anna, ad ovest di Edmonton, lancia un molteplice appello ad ascoltare il “battito materno” della terra, a una fraternità basata sull’unione “dei distanti”, a una Chiesa che non si trinceri nella difesa dell’istituzione a dispetto della “ricerca della verità”. Poi ai fratelli indigeni dice: “Siete preziosi per me e per la Chiesa”.
Il Papa, accompagnato dai suoni tradizionali del tamburo, vi celebra la Liturgia della Parola, preceduta da una “benedizione del lago”. “Qui, immersi nel creato, c’è un altro battito che possiamo ascoltare, quello materno della terra – dice nell’omelia in spagnolo – e così come il battito dei bimbi, fin dal grembo, è in armonia con quello delle madri, così per crescere da esseri umani abbiamo bisogno di cadenzare i ritmi della vita a quelli della creazione che ci dà vita”.
Ricordando poi il Lago di Galilea dove predicò Gesù, Francesco sottolinea che “proprio quel lago, ‘meticciato di diversità’, divenne la sede di un inaudito annuncio di fraternità; di una rivoluzione senza morti e feriti, quella dell’amore”. E qui, “sulle rive di questo lago, il suono dei tamburi che attraversa i secoli e unisce genti diverse, ci riporta ad allora. Ci ricorda che la fraternità è vera se unisce i distanti, che il messaggio di unità che il Cielo invia in terra non teme le differenze e ci invita alla comunione, a ripartire insieme, perché tutti siamo pellegrini in cammino”.
Poi il Pontefice avverte: “Ora tutti noi, come Chiesa, abbiamo bisogno di guarigione: di essere risanati dalla tentazione di chiuderci in noi stessi, di scegliere la difesa dell’istituzione anziché la ricerca della verità, di preferire il potere mondano al servizio evangelico. Aiutiamoci, cari fratelli e sorelle, a dare il nostro contributo per edificare con l’aiuto di Dio una Chiesa madre come a Lui piace, capace di abbracciare ogni figlio e figlia; aperta a tutti e che parli a ciascuno; che non vada contro qualcuno, ma incontro a chiunque”. Inoltre, “se vogliamo prenderci cura e risanare la vita delle nostre comunità, non possiamo che partire dai poveri, dai più emarginati”. Occorre “guardare di più alle periferie e porsi in ascolto del grido degli ultimi; saper ascoltare il dolore di quanti, spesso in silenzio, nelle nostre città affollate e spersonalizzate, gridano: ‘Non lasciateci soli!'”.