Papa Francesco: riflessioni del sociologo Mattioli

di FRANCESCO MATTIOLI-

Mi si consenta di aprire una riflessione su papa Francesco un po’ irrituale. Ma da sociologo che si è occupato di mass media, non possono non considerare che gli imbecilli in servizio permanente effettivo che si agitano sui social, compresi taluni personaggi ben noti alla pubblico, oggi gioiscono. Perché al grido del “l’avevo detto”, sosterranno che il papa era già morto da oltre un mese, persino dall’inizio del suo ricovero al Gemelli, ma poi per non alterare i riti pasquali e l’inizio del Giubileo, un attore ben istruito si era prestato a rappresentarlo presso i fedeli di tutto il mondo. Poveri, piccoli uomini in cerca di notorietà a buon mercato.
Ma andiamo oltre, anzi torniamo ad esser seri. Tra le tante considerazioni che proliferano oggi e che e si succederanno nei prossimi giorni sul pontificato di papa Francesco, mi limito ad affiancarmi a quelle che riguardano soprattutto l’immediato futuro. Papa Francesco, come ha detto giustamente Vito Mancuso, più che una teologia ha praticato una “teopatia”, nel senso che la sua opera è stata soprattutto orientata a “comprendere” i suoi e i nostri tempi, a dirigere la nave della Chiesa verso l’innovazione e l’adeguamento di certe sue posizioni agli sviluppi etici della modernità, aprendosi ai problemi non solo della povertà, del riscatto degli ultimi e della pace, ma anche a quelli dell’ambiente e dei rapporti di genere, insistendo su un concetto molto evoluto di carità.
Ma non si può negare che papa Francesco, di fronte alla complessità del mondo, ha trovato anche muri da scalare, opposizioni talvolta tacite e talaltra gridate, sia da parte di conservatori impigriti su posizioni misoneiste, sia da parte di innovatori infiammati di massimalismo. Durante il suo pontificato ha cercato di investire nella Chiesa, e tra i cardinali, favorendo l’ingresso di personalità vicine al suo pensiero e ai suoi intenti. Ma la Chiesa cattolica, operando nel mondo intero, non può che essere un arcipelago di isole differenti fra loro. E’ noto, ad esempio, che per vari motivi la Chiesa nordamericana è piuttosto tradizionalista nei principi teologici e liturgici; quella orientale e in specie cinese è molto prudente sul piano diplomatico; quella del sud del mondo è combattuta tra una coraggiosa innovazione, anche a rischio di qualche forma di ibridazione, e una meditata ortodossia; mentre quella europea, che si confronta con una crescente secolarizzazione, si divide tra slanci intellettuali e sociali molto innovativi e vecchie tradizioni.
E tuttavia, con la perdita di un pastore che ha voluto condividere l’odore delle sue pecore, bisogna capire che ne sarà di quell’immenso recinto che contiene i cattolici del mondo, ma che è aperto a tutti coloro che vogliono condividere con quelle pecore il cibo della giustizia, della pace, della dignità e dell’ emancipazione umana. Proveranno a rialzare la testa i viganò che già da tempo rimestano nell’ombra o gli affaristi che da sempre si agitano ai confini di San Pietro? Si apriranno ulteriori strade alla modernità intesa come cammino verso una sempre più completa riaffermazione della dignità dell’Essere Umano in tutte le sue declinazioni ?
Quando papa Francesco fu eletto, nel 2013, ancora si pensava ad un cammino umano da perfezionare, ma ben avviato. La guerra era un’eccezione di periferia, l’inclusione un ineludibile programma di civiltà, l’ambiente doveva essere salvaguardato ad ogni costo. Oggi, con le rinnovate minacce di una guerra che brucia i confini dell’Europa, con le violenze sulle sponde orientali del Mediterraneo, con la crescita di un sovranismo nazionalista che rischia di mettere in crisi le coscienze d’Europa e delle Americhe,e che guarda con diffidenza alle iniziative del Buon Samaritano e al concetto stesso di inclusione, il pontefice che verrà si troverà ad affrontare problemi gravi, di complessa lettura, difficili da gestire e, soprattutto, imprevedibili nei loro sviluppi. E questo, non solo nel mondo, ma anche all’interno della Chiesa Cattolica.
Con la scelta di chiamarsi Francesco, papa Bergoglio aveva richiamato la forza di un uomo, di un santo, che fu espressione di un mondo che stava cambiando, avviandosi dal medioevo verso l’umanesimo, un umanesimo non solo di natura intellettuale, ma anche politico-sociale. Il successore di Francesco che nome prenderà? Di fronte ad un mondo che oggi sembra traballare e ripiegarsi su sé stesso, che dubita di ideali e scopi che sembravano ormai inequivocabilmente definiti, seppur impegnativi da conseguire, quel nome sarà ancora una volta un segnale, un programma e un monito.

 

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