di ROSANNA DE MARCHI-
I lavori che trasformarono profondamente l’immagine del centro di Viterbo, furono effettuati nel ventennio intercorrente fra le due guerre mondiali. In genere però, se ne ricorda soprattutto la seconda fase, quella cioè che, tra il 1931 e il 1936, portò alla creazione dell’area su cui fu poi aperto il nuovo sistema viario di collegamento tra Piazza Verdi e Piazza del Plebiscito. E alla successiva costruzione di una serie di palazzi destinati a ospitare vari uffici pubblici(Poste, Banca d’Italia, Genio Civile).
Un’importanza non minore ebbe, tuttavia, la fase precedente, relativa alla sistemazione di tutta la zona compresa tra la Piazza Verdi e il tratto della Cassia denominato, nelle piante di allora, Strada Provinciale di Circonvallazione, con cui fu aperta una via di raccordo che, non tardò a divenire uno dei più frequentati varchi di accesso al centro cittadino.
Ci sembra opportuno, perciò, rifare la storia di questo primo passo compiuto dalla città verso l’acquisizione della sua attuale immagine. E’ importante sia per individuarvi la necessaria premessa ai lavori successivi, sia per fare doverosa memoria degli amministratori civici che, ne decisero la realizzazione, e dell’imprenditore cui essa fu affidata; il cui nipote sig. Valentino Soldati “che ringrazio vivamente per la cortese disponibilità”, ha messo gentilmente a mia disposizione le copie dei documenti su cui si fonda questa ricerca.
Negli anni immediatamente successivi alla conclusione della prima guerra mondiale, l’area di cui parliamo presentava un aspetto profondamente diverso da quello di oggi.
Il Corso Italia, allora intitolato a Vittorio Emanuele II, e Via Principessa Margherita (oggi Via Matteotti) erano raccordati da un semicerchio di case che i viterbesi chiamavano la Svolta, e che occupava lo spazio dove oggi si apre la Via Marconi.
Alle spalle di questi fabbricati, il corso dell’Urcionio si snodava a cielo aperto lungo un’angusta valle che divideva in due l’abitato cittadino e, dopo il Ponte Tremoli (che era in asse con la Via Cairoli), proseguiva nella più ampia Valle di Faul, uscendo dalle mura nei pressi dell’omonima porta e continuando poi nella campagna, verso la zona termale.
Di fronte alla Svolta si apriva una piazzetta, che prendeva il nome di Santa Rosa Dipinta, dall’immagine posta in seguito all’imbocco della salita che, conduce al santuario della Patrona.
Di qui, per giungere alla Piazza Verdi, bisognava superare una strettoia formata da alcune costruzioni, tra cui il vecchio Teatro Margherita, e da terreni coltivati a orto.
Nel tratto più a monte, di là della Cassia e della ferrovia, (Roma Nord) l’Urcionio dalle vicine alture scendeva, tra orti e canneti, lungo il tracciato dell’attuale Via Genova. Entrava in un fornice posto sotto la Cassia e, riaffiorando subito dopo, passava sul fianco dell’edificio del Teatro Unione, e scorreva al margine della Piazza Verdi.
Pertanto, per andare da questa piazza, all’esterno della cerchia delle mura urbane, bisognava deviare sulla sinistra e raggiungere la porta che i viterbesi chiamavano (e chiamano tuttora) Murata. Chiamata così perché, dopo una chiusura durata parecchi secoli, solo nel 1920 era stata riaperta e ribattezzata Tiberina, perché “da tale porta si accede più direttamente alle strade che, per Orte e Bagnorea, portano al Tevere”.
Il piccolo varco che consentiva il deflusso delle acque al di sotto del piano stradale della Cassia, si apriva alla base delle mura civiche, e lo strano nome di Gabbia del Cricco, con il quale esso era indicato dai viterbesi, e che, come vedremo, è usato anche nella documentazione relativa a lavori, ricordava una drammatica alluvione di due secoli prima.
Infatti, il 26 ottobre 1706 l’onda di piena dell’Urcionio, ingrossato dalle piogge e, probabilmente, salito di livello anche perché il passaggio sotto la Cassia era stato ostruito dall’accatastamento dei detriti trasportati dalle acque,si era aperta un varco nelle mura civiche e si era abbattuta rovinosamente sulle case vicine, attraversando poi impetuosamente tutta la città e diroccando anche parte del tratto opposto della cinta muraria, nei pressi della Porta Faul.
Le gravi conseguenze dell’alluvione, che aveva provocato una ventina di morti, indussero il governatore della provincia, Francesco Foscari, a dare una più sicura sistemazione all’apertura attraverso cui il fiumicello entrava nell’abitato, ampliandola e proteggendone l’ingresso a monte, con un semicerchio di robusti pali, da cui nacque, nella fantasia popolare, la pittoresca denominazione.
In effetti, le inondazioni verificatesi in anni successivi testimoniarono l’efficacia della soluzione messa in atto dal Foscari.
Ad esempio, quella del 1735 danneggiò piuttosto seriamente le circostanti campagne, ma i quartieri cittadini rimasero indenni.
Tratto dal libro: 1900 “Cent’anni di Storie Italiane” di Rosanna De Marchi