Robert Schumann, il genio di Zwickau

di CINZIA DICHIARA-
Oggi, 29 luglio, ricordiamo Robert Schumann (Zwickau 1810- Endenich 1856), genio discusso e contrastato che rappresenta la massima declinazione del primo romanticismo con Mendelsshon (1809-1847), Chopin (1810-1849) ed altri.
Davvero spesso incompreso, fu capace di trasporre in musica e nei suoi scritti critici e letterari tutta la tempere filosofica, intellettuale e artistica del suo tempo, divenendone vessillo più alto.
Altissima è infatti la sua valentia nell’entrare nel mistero, nel sogno, nell’inconsueto e umanamente intraducibile con i i suoi ‘schizzi’ pianistici dall’euforia al pianto, con le sue pagine sinfoniche poderose o intime, con i suoi lieder dall’espressività potente e sensibile, facendo risuonare in noi corde interiori profonde e insondabili.
La sua produzione è tra le più originali dell’età dei sentimenti e dell’abbandono alla dimensione onirica, a cominciare dalle pagine di musica pianistica che comprendono capolavori irrinunciabili, dai Papillons op. 2 al Carnaval op. 9, dalla Fantasia op.17 ai Davidsbündlertänze op.6, dall’Humoresque op. 20 al Concerto op. 54, alle sonate, agli Studi sinfonici op.13, al Concerto senza orchestra in Fa minore (poi Sonata n. 3) op. 14.
I titoli che le contrassegnano danno immediatamente l’impressione del suo mondo fantastico e irraggiungibile: Phantasiestücke op. 12, Kinderszenen op. 15, Kreisleriana op. 16, Arabeske op. 18, Novellette op. 21 (1838) Nachtstücke op. 23, Faschingsschwank aus Wien op.24 sono frammenti di sogno che configurano l’estasi, l’esplosione dell’immaginario e finanche il delirio. La loro è la poesia delle piccole cose così come degli slanci passionali più imprevedibili.
Abitata da “sfingi”, da personaggi d’invenzione derivanti dal suo sdoppiamento interiore quali Florestano e Eusebio, illuminata dagli scritti paradossali di Jean Paul Richter, da lui idolatrato più di ogni altro, e di letterati romantici che amò enormemente, è sostenuta da codici cifrati ancora oggi in via di decrittazione. Il più importante pare essere proprio un tema dedicato a sua moglie Clara Wieck, la più grande pianista dell’800 (si vedano gli studi di Eric Sams ma anche di Andrea Malvano).
Del resto fu proprio Clara la sua più importante interlocutrice vita natural durante, la sua vera anima gemella, l’artista e la consorte che egli considerò sempre punto di riferimento assoluto, oltre ai cari amici quali Johannes Brahms, certamente ancora troppo giovane. Aveva solo 21 anni quando si presentò a casa sua a Dusseldorf, ma era abbastanza geniale da farsi considerare il suo erede nonostante la differente cifra stilistica e l’assolutamente personale modus cogitandi adottato nella composizione, e abbastanza maturo da essere tra i pochi fedelissimi ad assisterlo in clinica. La loro amicizia fu dettata da alta stima e affetto sincero, nonostante le innumerevoli chiacchiere sull’amicizia di Clara con Johannes.
Ricordarne oggi la scomparsa nella clinica per malati psichiatrici di Endenich, sobborgo di Bonn, pone ancora l’interrogativo e il dilemma se Schumann sia stato compreso nell’ultima fase della sua esistenza terrena e aiutato adeguatamente. Abbondano ormai teorie psichiatriche, diagnosi sulla base dei documenti di allora, interpretazioni dotte, eppure non tutto sembra chiaro. Probabilmente un concorso di responsabilità involontarie ha fatto sì che di giorno in giorno, in quel luogo orribile per alienati, la sua sofferenza sia divenuta insopportabile facendolo precipitare ancor più nel baratro. Strano, come la sovrabbondanza di documenti non basti talora a sistemare le cose. Le vicende vanno lette con grande prudenza e senza eccedere in facili interpretazioni. Di certo Schumann ha donato all’umanità un gran bagaglio di bellezza e, questo, rispetto alla sua vita mortale va molto oltre. Nell’infinito.