Nel Lazio 53.300 pazienti con epatite C, Il progetto ‘Hand’ fa tappa a Roma

ROMA-Ha fatto tappa a Roma la quinta edizione di ‘Hand’ (Hepatitis in Addiction Network Delivery), il progetto promosso dal provider Letscom E3, con il contributo incondizionato di AbbVie, nato con l’obiettivo di anticipare la fase di screening dell’epatite C (Hcv) nella popolazione Pwid (People Who Inject Drugs) e in tutta l’utenza a rischio afferente ai Ser.D. Per la sua rilevanza a livello nazionale, dal 2019 ‘Hand’ gode del patrocinio delle quattro società scientifiche SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD.

La quarta tappa del progetto Hand 2023 ha visto la partecipazione di oltre 60 tra medici chirurghi, psicologi, farmacisti, biologi, infermieri, educatori professionali, assistenti sanitari e tecnici della riabilitazione psichiatrica che hanno preso parte al corso di formazione ECM dal titolo ‘Applicazione del programma di screening nazionale per l’eliminazione dell’Hcv nei Serd e nelle carceri della Regione Lazio’.

Nel corso dei lavori è stato sottolineato come nel Lazio siano presenti circa 53.300 pazienti con infezione cronica da Hcv attiva ancora non trattati con terapia antivirale (una prevalenza pari allo 0,9%), di cui circa 35.800 con infezione cronica ancora da diagnosticare (prevalenza 0,63%) potenzialmente asintomatici, e 17.500 in uno stadio di fibrosi avanzata (prevalenza 0,31%), sintomatici ma che ancora non hanno eradicato la patologia.

Diventa dunque indispensabile, secondo gli esperti, favorire un’anticipazione diagnostica attraverso un percorso di screening organizzato e una tempestiva presa in carico delle persone positive per l’avvio di un adeguato trattamento, il cosiddetto ‘linkage to care’.

Per questo i relatori hanno ripercorso nel dettaglio le indicazioni contenute nella deliberazione della Giunta Regionale 24 maggio 2022, numero 314, ‘Programma di screening nazionale per l’eliminazione del virus dell’epatite C nella Regione Lazio’.

Inoltre, hanno spiegato che nel Lazio operano 40 Serd, articolati su 53 sedi, dove 43 sono territoriali e dieci carcerarie. Nel 2021 le persone utenti dei Serd sono state circa 11.000, circa il 60% delle quali in fascia target per età.

Per quanto riguarda le carceri, nei 14 istituti penitenziari complessivamente presenti sul territorio regionale, di differente tipologia, nel 2021 si sono registrati 5.644 detenuti, un numero pari al 10% delle presenze nazionali, circa il 40% dei quali in fascia target per età.

Nel Lazio sono inoltre presenti complessivamente 17 centri clinici autorizzati alla prescrizione dei farmaci antivirali ad azione diretta, i Daa, indicati per la terapia dell’epatite C cronica.

Responsabili scientifici del convegno romano il Direttore Uoc Malattie Infettive Epatologia, Dipartimento Poit, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive ‘Lazzaro Spallanzani’ – Irccs, Gianpiero D’Offizi, e il Direttore del Dipartimento Tutela delle Fragilità – Asl Roma 2, Claudio Leonardi.

D’Offizi ha incentrato il proprio intervento sullo stato dell’arte dell’applicazione del programma di screening per l’eliminazione del virus dell’epatite C in Regione Lazio, in particolare nei Serd e nelle carceri, accendendo i riflettori sui programmi da attuare proprio nei Serd e nelle carceri per l’arruolamento dei pazienti e per far emergere il sommerso.

“La strategia migliore- ha puntualizzato- è la semplificazione, che consiste nell’identificare il soggetto Hcv positivo per poi avviarlo in un percorso di presa in carico presso un centro clinico della Regione e iniziare quanto prima un trattamento contro l’epatite C. Questo è molto importante, perché trattare subito un paziente Hcv positivo significa innanzitutto poter eliminare il ‘burden’ virale, ovvero la carica di virus presente, e quindi eliminare anche la possibilità di contagio di altre persone, di altre fasce di popolazione”.

“Ma nello stesso tempo- ha continuato- significa anche poter prevenire l’evoluzione, il peggioramento della malattia da Hcv, perché i pazienti che non sono consapevoli di avere questa infezione possono progredire nel tempo e avere quadri franchi di cirrosi o addirittura essere pazienti che arrivano anche al trapianto di fegato”.

Ai fini dello screening Hcv per la Regione Lazio, su proposta del ministero della Salute sono stati stanziati 8.148.378 euro. Claudio Leonardi si è soffermato sulle due maggiori criticità riscontrate nella Regione Lazio per dare piena attuazione proprio al piano di screening per malattia da Hcv. “La prima- ha informato- è legata all’annosa e perenne carenza di personale, che ci impedisce di poter attuare le procedure di screening precoce nella maniera migliore possibile. La seconda è determinata dal fatto che le lungaggini burocratiche hanno fatto sì che l’acquisizione del materiale necessario per attuare correttamente questo screening sia avvenuta un po’ in ritardo. In questo periodo stiamo però recuperando”.

Ha scattato una fotografia delle carceri italiane il Direttore Uoc Medicina Protetta/Malattie Infettive dell’Ospedale Belcolle-Asl Viterbo, Giulio Starnini. “Gli istituti penitenziari del nostro Paese- ha detto- hanno moltissimi problemi e tra questi vi sono quelli legati alla malattia infettiva. È una costante nel tempo, esiste da decenni. L’abbiamo affrontata ma non l’abbiamo risolta, perché quella carceraria non è una popolazione stabile, cambia continuamente, si rinnova di circa un terzo ogni anno. Tra le problematiche più importanti c’è, ovviamente, quella relativa alle epatiti, in particolare l’Hcv”.

“Per questo motivo- ha affermato- lo Stato e le regioni hanno individuato questo setting di persone, che riconosce una prevalenza dieci volte superiore a quella della popolazione generale. Si sta lavorando in tutte le regioni proprio attraverso l’offerta dello screening gratuito”.

“Quello che conta soprattutto è un’offerta terapeutica importante- ha concluso Starnini- che non terminerà con questo progetto ma dovrà proseguire, perché, ripeto, la popolazione detenuta non è stabile e ci sarà la necessità di prorogare nel tempo questa tipologia di interventi”.

Dopo Roma il progetto ‘Hand’ si sposterà a Salerno il 13 novembre.




Epatite C: importanza di prevenzione e screening. Oggi guarire è possibile

Roma – Eradicare il virus HCV entro il 2030. Questa è una delle sfide lanciate dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) secondo cui a livello mondiale sono oltre 58 milioni i positivi, con circa 1,5 milioni di nuovi contagi ogni anno. In Italia si stima che ci siano oltre 300.000 pazienti da trattare, di cui più di 200.000 non ancora diagnosticati2. Su questi numeri ma soprattutto su quelli “sommersi” e sulle terapie disponibili si focalizza “Mind the GaPs in PWIDs. The shortest Route to Treat”, iniziativa itinerante promossa da AbbVie, partita ieri da Roma, con prossimi appuntamenti a Torino e Lecce. Tre incontri che hanno come principale obiettivo quello di sensibilizzare gli epatologi circa la diagnosi, la gestione e il trattamento del paziente con Epatite C.

Nell’identificazione dei pazienti per l’eradicazione di questa patologia, l’Italia ha oggi la grande opportunità del programma nazionale di screening gratuito a disposizione delle Regioni. Stanziato fino a Dicembre 2023, è rivolto a 3 categorie di popolazione: i nati nelle fasce d’età 1969-1989, le persone seguite dai Servizi Pubblici per le Dipendenze (SerD) e le persone detenute in carcere.

“Se una persona non rientra nelle tre categorie che hanno accesso gratuito allo screening ma ha il dubbio di essere stata esposta ad un potenziale contagio, per prima cosa deve eseguire il test per la ricerca degli anticorpi HCV – afferma Leonardo Baiocchi, Professore Associato di Gastroenterologia Università Tor Vergata di Roma, Dirigente Responsabile f.f. Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia Policlinico  Università di Tor Vergata – per il quale sono necessari una ricetta rilasciata dal medico di famiglia e un prelievo di sangue. Se il test è positivo, il consiglio è quello di rivolgersi subito ad un centro di malattie infettive o esperto in malattie del fegato per una tempestiva valutazione clinica, cui seguirà il trattamento antivirale. Le attuali terapie antivirali ad azione diretta sono accessibili a tutti. La loro azione consiste nel bloccare la replicazione del virus HCV che non si moltiplica più. Nel caso del trattamento con glecaprevir/pibrentasvir l’eliminazione del virus si ottiene in 8 settimane, con un’efficacia in oltre il 95% dei casi3. Si tratta di un’opzione terapeutica che ha cambiato radicalmente la storia della malattia con un impatto importante sulla qualità di vita dei pazienti consentendo di ridurre le cirrosi, il tumore del fegato e persino, in certi casi, evitare il trapianto di fegato; un avanzamento scientifico davvero significativo per un Paese come il nostro con un’endemia per epatite C tra le più alte al mondo”.

L’Italia ha il primato in Europa per numero di soggetti positivi all’Epatite C e di mortalità per tumore primitivo del fegato correlato al virus e detiene una grande numerosità di pazienti affetti dalla malattia ignari della propria condizione. Il bacino di pazienti a più alta prevalenza è rappresentato dai consumatori di sostanze stupefacenti (PWID – People Who Inject Drugs). Il virus si trasmette attraverso il contatto diretto con sangue infetto, per cui i principali fattori di rischio sono: lo scambio di siringhe usate, le trasfusioni di sangue non controllate e non testate, le strumentazioni mediche e chirurgiche (cure dentali, tatuaggi, piercing) non adeguatamente sterilizzate, condotte sessuali a rischio e non protette e trasmissione da madre infetta a figlio durante il parto.




Epatite C, D’Amato: “Da domani 3 ottobre al via programma di screening Hcv in tutte le Asl”

“Dopo il progetto pilota partito nella Asl di Rieti nel mese di agosto, a partire da domani 3 ottobre è prevista la partenza del programma di screening per l’HCV in tutte le Asl del territorio. Gli ultimi anni di Covid hanno indubbiamente rallentato l’attività di prevenzione e inciso negativamente nella lotta contro le altre malattie. Nel Lazio si stima una presenza di oltre 53 mila persone con infezione cronica da HCV ancora non trattate con terapia antivirale e di queste circa 36 mila ancora da diagnosticare e potenzialmente asintomatici. Per accedere al programma ci si potrà recare in uno dei punti prelievo delle Asl per effettuare il test tramite chiamata attiva, oppure prenotando online sul portale regionale ‘Prenota Smart’ (https://www.salutelazio.it/screening-prenota-smart). Il fattore tempo è determinante, dobbiamo investire sulla prevenzione perché un tempestivo trattamento con antivirali garantisce elevate speranze di guarigione”. Lo dichiara l’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato in merito al programma di Screening per l’HCV che vede come popolazione target quella nata tra il 1969 e il 1989 (circa 1,7 mln di persone nel Lazio).




Epatite C, nel Lazio stanziati poco più di 8 mln di euro per 2021/22

ROMA- “La Regione Lazio avrà a disposizione per quest’anno e per il prossimo una cifra pari a poco più di 8 milioni e centomila euro da utilizzare per lo screening precoce dell’HCV. La ripartizione viene fatta in base al bacino d’utenza, per cui ogni azienda ASL potrà già conoscere la quantità di denaro che riceverà da questo fondo”. Lo ha dichiarato il Dottor Claudio Leonardi, Direttore Dipartimento Tutela delle Fragilità ASL Roma 2 e Presidente della Società Italiana Patologie da Dipendenza (SIPaD), intervenuto in occasione del corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie. Il corso, dal titolo ‘GESTIONE DEL PAZIENTE CON DISTURBO DA USO DI SOSTANZE E DI INFEZIONE DA HCV – Networking fra territorio e ospedale e ruolo della telemedicina’, rientra nell’ambito di ‘HAND – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il progetto di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD) che dal 2019 coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane.

Leonardi ha aggiunto che “purtroppo non è stata istituita una cabina di regia e per quanto ne possa sapere non è stato identificato nemmeno il referente per i Ser.D., che dovrà comunque seguire l’iter dell’intero processo di screening precoce. Vi garantisco che sin dalla prossima settimana sarò una spina nel fianco nelle istituzioni regionali per avviare questa operazione il più precocemente possibile, se non già fatto, in modo tale da accelerare i tempi dell’inizio di tutte le attività”. Il Presidente SIPaD si è poi soffermato sulla necessità di strutturare i Ser.D. con point of care e ha dichiarato che “ovviamente la Società Italiana Patologie da Dipendenza si pone in maniera del tutto favorevole. Come società scientifica abbiamo già gestito uno studio multicentrico, oggetto di una comunicazione che verrà fatta tra il 12 e il 15 novembre. Si tratta di un convegno virtuale, la comunicazione è stata infatti registrata all’Associazione americana per lo studio delle patologie del fegato che si terrà a Boston, dove sono stati presentati dati che riguardano circa 900 soggetti testati nei vari servizi del territorio nazionale secondo la tecnica del test rapido. Per questo motivo tale argomento, così come altri che ruotano attorno alle problematiche dell’HCV, saranno oggetto di discussione durante il nostro prossimo convegno nazionale, il sesto, che si terrà a Roma il 10 e l’11 novembre prossimi”.

Al corso ha preso parte anche il Dottor Giancarlo Gimignani, Direttore Unità Operativa Medicina Interna, ASL Roma 4. Il medico ha spiegato che “sono circa 400 i pazienti affetti da epatite C valutati negli anni da questa ASL” e ha informato che “la maggior parte sono pazienti che provengono dal territorio, una quota parte sono i pazienti della popolazione carceraria e una quota parte sono invece quelli che provengono dai Ser.D.”. Gimignani ha sottolineato che “la maggior parte dei pazienti provenienti dal territorio ha però avuto un contatto con il mondo dell’uso di sostanze stupefacenti. La stessa cosa vale per quanti sono stati screenati e testati nella popolazione carceraria. Di questi, la maggior parte ha avuto contatti con il mondo della droga”. Secondo il Dottor Gimignani “i test rapidi sono l’unica, vera carta vincente per far emergere il sommerso, perché le epatopatie virali croniche sono asintomatiche e vanno scovate attraverso una ricerca sistematica”. L’esperto ha infine elogiato il Lazio sul tema della cura e del trattamento dell’epatite C, affermando che “la Regione Lazio è una di quelle che hanno trattato di più in Italia i pazienti con Epatite C. Bene anche la ASL Roma 4, che ha trattato i pazienti pur partendo con un discreto ritardo, avendo avuto la possibilità di erogare farmaci antivirali con due anni di ritardo”, ha concluso.

 




Epatite C, Asl: “Malattia da HCV ai tempi del Covid, ieri un webinar di formazione”

VITERBO – Nell’ambito del progetto HAND (Hepatitis in Addiction Network Delivery), ieri pomeriggio si è svolto un importante webinar di formazione rivolto ai professionisti della sanità del settore dal titolo “Malattia da HCV ai tempi del Covid. L’impegno della Asl di Viterbo verso l’eliminazione del virus”.

L’iniziativa è il frutto della collaborazione delle unità operative Malattie Infettive e Dipendenze patologiche (SerD) e si inserisce in un lungo periodo di emergenza pandemica nel quale la strategia italiana, rivolta alla eliminazione dell’epatite C, si è scontrata con l’emergenza coronavirus che, in molte realtà, ha indotto a ripensare e trasformare il sistema di cura e presa in carico dei pazienti con disturbi da dipendenza. In particolare, la necessità di ridurre la circolazione delle persone, il mantenimento del distanziamento fisico e l’adozione di misure di prevenzione e protezione non ha consentito di continuare ad assistere questa popolazione con l’efficacia e l’efficienza adoperata nel passato.

In questo quadro generale – commenta il direttore generale della Asl di Viterbo, Daniela Donetti – il webinar ha rivestito una particolare importanza perché ha consentito, nell’ambito di un momento formativo rivolto ai professionisti che si occupano di questa patologia, di rappresentare come presso la nostra azienda si sia creata e rafforzata, proprio in questi mesi, una efficace sinergia sul territorio, al fine dell’eradicazione dell’infezione da HCV tra le due unità operative che hanno organizzato l’iniziativa. In particolare, la stretta interazione tra l’unità di Dipendenze patologiche che, afferendo al Dipartimento per il governo dell’offerta e le cure primarie, ha fatto dello screening HCV un punto cardine di attività, e l’unità di Malattie infettive, che si avvale delle più recenti conoscenze a livello terapeutico e farmacologico, ha consentito lo sviluppo di una strategia particolarmente innovativa nella lotta al virus nella popolazione con problemi di dipendenza”.

 

 




Epatite C, nel Lazio stanziati oltre 7 mln di euro per 2021/22

VITERBO –  La Regione Lazio avrà a disposizione oltre 7 milioni di euro per per avviare lo screening gratuito dell’epatite C. In quale modo dovrebbero essere ripartiti questi fondi per rispondere al meglio ai bisogni dei pazienti? A fare chiarezza è stato il Dottor Roberto Monarca, Dirigente, Centro di Riferimento Territoriale per le Malattie Infettive – Ospedale Belcolle – ASL Viterbo, intervenuto in occasione del corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie.
Il corso, dal titolo ‘Malattia da Hcv ai tempi del Covid – L’impegno della Asl Viterbo verso l’eliminazione del virus’, rientra nell’ambito di ‘Hand – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il progetto di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD) che dal 2019 coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane.

Il Dottor Monarca ha spiegato che “innanzitutto è molto importante avere fondi aggiuntivi per raggiungere gli obiettivi che si è prefissata l’Organizzazione mondiale della sanità, ovvero risolvere entro il 2030 il problema della pandemia da epatite C come minaccia pubblica. Per fare questo bisognerà andare ad intercettare tutti i pazienti difficili da trattare e da raggiungere, i cosiddetti ‘hard to reach’, far emergere il sommerso di quanti sono affetti da epatite C, diagnosticarli come viremici e trattarli con i farmaci che adesso abbiamo a disposizione e che hanno una eccezionale tollerabilità ed un’eccellente risposta come tasso di eradicazione”.
Il Dottor Monarca ha tenuto a sottolineare che “tutti i farmaci sui quali oggi possiamo fare affidamento raggiungono percentuali elevatissime, oltre il 90%, fino al 95-98% di eradicazione dell’infezione”.

Al corso ha preso parte anche il Dottor Sergio Belsanti, Dirigente Medico, Ser.D. Tarquinia – ASL Viterbo, che ha dichiarato: “Nel servizio in cui lavoro sono presenti sacche di popolazione difficilmente screenabili con i mezzi tradizionali e, dunque, il test rapido può certamente essere una buona opzione per poter far accedere allo screening anche persone che, normalmente, sfuggirebbero dai programmi tradizionali”. Belsanti ha proseguito informando che “per la popolazione che afferisce ad un servizio per le dipendenze è molto importante non fermarsi allo screening del singolo paziente ma allargare lo stesso sia alle famiglie, sia a tutti gli ambiti nei quali questi pazienti operano” e ha dichiarato che “si potrebbero utilizzare i finanziamenti anche per l’elaborazione di programmi che in qualche modo permettano di realizzare screening più mirati”. Il medico ha poi precisato che “è importante sensibilizzare, perchè da questo punto di vista la conoscenza è ancora piuttosto scarsa, ossia le persone spesso non sanno cosa debbano fare. Credo, dunque, che educare e invogliare le persone a farsi screenare possa davvero essere una carta vincente”. Il Dottor Monarca ha poi aggiunto che “storicamente la nostra struttura si occupa di un grande numero di pazienti. Negli ultimi 30 anni ne abbiamo arruolati circa 2.000”. E i risultati non mancano. Lo confermano le percentuali di guarigione ottenute grazie ai nuovi farmaci. “Siamo passati da percentuali inferiori al 50% nell’era dell’interferone- ha raccontato- a percentuali che si avvicinano al 95% di guarigione. Riusciamo inoltre a trattare pazienti che, con i vecchi farmaci, non era possibile trattare a causa degli effetti collaterali, a volte seri e pesanti che potevano avere i vecchi farmaci. Quelli nuovi sono estremamente ben tollerati, anche in pazienti che fanno ancora uso corrente di sostanze stupefacenti. Quindi, non siamo più in presenza di quella controindicazione assoluta o relativa di trattamento nei pazienti tossicodipendenti attivi”.

Il Dottor Monarca ha poi citato “lo studio Ancora, che ci dice che anche in pazienti con tossicodipendenza attiva si riescono ad avere percentuali di eradicazione oltre l’82-83%, una percentuale davvero molto elevata in questa categoria di pazienti. Il trattamento può essere utilizzato anche per abbattere la possibilità di trasmettere l’infezione, dato che questi pazienti hanno comportamenti a rischio. Quindi, quella che noi chiamiamo ‘Treatment and prevention” è una strategia che utilizziamo molto frequentemente con questi farmaci e in maniera assolutamente efficace. La via è quella di scoprire, selezionare e trattare questi pazienti il prima possibile, con farmaci estremamente efficaci”.

Il Dottor Sergio Belsanti si è poi detto molto orgoglioso di come sia stata organizzata la rete tra Ser.D. e infettivologia e ha informato che “ormai da molti anni esiste una collaborazione molto stretta che permette di abbreviare, se non di eliminare, alcuni passaggi. Ad esempio, i colleghi sono molto disponibili nel visitare i nostri pazienti senza lunghi tempi d’attesa. Di contro, siamo noi ad occuparci dei monitoraggi, semestrali ed annuali, di tutti i controlli durante e post terapia, quando ormai il paziente esce dal monitoraggio degli infettivologi”. Belsanti ha infine reso noto che “si tratta di una rete molto ben integrata e i numeri la dicono lunga: tra tutti i quattro Ser.D. del Viterbese abbiamo una percentuale di utenza screenata, e tutta quella screenata è stata quasi tutta inviata al trattamento, quasi del 90%. Anche se una piccola fetta non risponderà mai a questo messaggio, si tratta comunque di numeri davvero molto importanti”, ha concluso.

 




Epatite C, la pandemia di Covid-19 rallenta la ricerca

Infettivologi, epatologi e internisti insieme  per lottare contro l’Epatite C.  Anche in questi mesi di ripresa, la pandemia di Covid-19 rallenta molto la ricerca dell'”altro virus”. Ecco le nuove soluzioni, come i test congiunti Covid-Epatite per far emergere il “sommerso”. Oltre 213mila i pazienti con HCV trattati ad oggi (dati AIFA), ma “solo” 20mila nell’ultimo anno.

Epatite C: urge ripartire con screening e trattamenti dopo il blocco causato dalla pandemia. Nel Lazio priorità ai pazienti cirrotici che rappresentano ancora il 20-25% della popolazione da trattare

“L’identificazione dei pazienti cirrotici “inconsapevoli” è una priorità sanitaria di grande rilevanza. Questi sono i pazienti di età compresa tra 60 e 75 anni che necessitano di immediato trattamento, per non sviluppare più degli altri le complicanze gravi e rischiare di morire per la malattia HCV-relata” spiega il Prof. Mario Angelico, Ordinario di Gastroenterologia Università di Roma Tor Vergata

L’IMPORTANZA DI RIPRENDERE SCREENING E TRATTAMENTI DELL’EPATITE C – Sono 213.052, secondo i dati AIFA aggiornati al 21 settembre, i pazienti affetti dal virus dell’Epatite C «avviati» al trattamento. Un numero importante, ma che stride se confrontato con i 193.815 trattamenti avviati al 7 ottobre 2019. Il basso incremento di poco meno di 20mila unità in un anno evidenzia il rallentamento provocato dalla pandemia, che ha messo in discussione l’obiettivo di eliminazione dell’Epatite C entro il 2030 fissato dall’OMS: un risultato forse ancora possibile, soprattutto grazie all’innovazione garantita dai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali. Ancora prima dei trattamenti, devono essere realizzati gli screening, fondamentali per scoprire il “sommerso” di coloro che non sanno di aver contratto il virus, che si stima tra i 200 e i 300mila soggetti. Questi temi sono al centro del progetto MOON di Abbvie: una serie di webinar in questi mesi autunnali per mettere a confronto infettivologi, epatologi ed internisti, affinché facciano rete per trovare efficaci strategie.

LA SITUAZIONE DEI 200MILA PAZIENTI CIRROTICI – L’infezione da HCV può provocare complicanze anche fatali come la cirrosi e il tumore epatico. In Italia vi sono almeno 200mila pazienti con cirrosi epatica, dovuta nel 50% dei casi proprio all’HCV (il resto 20% Alcool, 20% NAFLD, 10% HBV). Ne muoiono almeno 20mila per anno, di cui la metà per lo sviluppo di un carcinoma epatocellulare che si sovrappone alla cirrosi. “Il trapianto epatico è una risorsa salvavita per questi pazienti se in fase avanzata, ma è applicabile, per età o per altre comorbidità e in ogni caso per disponibilità di organi, per 1 paziente ogni 20 che muoiono di cirrosi – spiega il Prof. Antonio Craxì, Ordinario di Gastroenterologia presso l’Università degli Studi di Palermo – Le terapie antivirali stanno significativamente riducendo la mortalità per HCV e HBV, anche se non cancellano il rischio di cancro. I numeri totali della cirrosi rimangono immutati perché aumenta la mortalità da NAFLD. Lo screening per HCV, finanziato con 71,5 milioni quest’anno dovrebbe consentire il completamento dei programmi di eradicazione di HCV. La pandemia ha tuttavia rallentato in maniera assai significativa l’avvio del programma e in ogni caso delle terapie anti-HCV. Si calcola che un ritardo di un anno nella cura per l’epatite C peserà fra 5 anni in aumento di circa 7mila morti per cirrosi da HCV, solo per l’Italia”.

LE CONSEGUENZE DELL’EPATITE C A LIVELLO SISTEMICO – Il rischio che scaturisce dall’HCV non è esclusivamente epatologico (con possibile evoluzione da epatite a cirrosi), ma si estrinseca anche a livello sistemico. “L’eradicazione del virus permette in molti casi la cura non solo della malattia epatica ma ne impedisce la sua progressione anche nell’ambito extraepatico – sottolinea la Prof.ssa Erica Villa, Ordinario di Gastroenterologia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia – Questa nuova e più ampia visione dell’infezione ha portato ad una stretta collaborazione interdisciplinare con lo scopo di individuare e trattare soggetti HCV positivi esclusi dal trattamento antivirale fino all’avvento dei DAA. Quest’ultimi hanno mostrato  efficacia e sicurezza praticamente in tutti i soggetti HCV positivi senza limitazioni di età e copatologie. Eradicare l’infezione da HCV equivale a ridurre a livello globale il rischio di mortalità e morbidità da cause epatiche ed extraepatiche”.

L’OPPORTUNITA’ DEGLI SCREENING CONGIUNTI – Tra le strategie avviate per favorire l’emersione del sommerso, una valida opportunità nasce proprio dalla pandemia: la realizzazione di un test congiunto per analizzare la presenza sia di anticorpi diretti contro la Covid-19 che quelli diretti contro il virus dell’Epatite C. “Nel panorama nazionale sono nate numerose iniziative per valutare la sieroprevalenza per il Sars-Cov-2 – spiega il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali e Professore Ordinario di infettivologia all’Università di Roma Tor Vergata – E’ auspicabile che in queste iniziative si colga l’occasione per attuare quanto previsto dal Decreto Milleproroghe, che ha stanziato un finanziamento di 71,5 milioni per l’emersione del sommerso del virus dell’epatite C, per permettere alle persone affette da questo virus che non sanno di esserlo di poter accedere ai trattamenti. Recentemente, alcune iniziative in tal senso sono state avviate in importanti piazze italiane, a Roma a Piazza del Popolo e a Villa Maraini, dove il test congiunto si è rivolto a una delle categorie maggiormente coinvolte, coloro che fanno uso di droghe per via endovenosa. Ciò ha reso possibile l’analisi di diverse centinaia di soggetti, permettendo di arrivare a numerose diagnosi di epatite C. L’aspettativa è che queste iniziative possano moltiplicarsi a livello nazionale, sia sul territorio che presso strutture sanitarie”.

LE ALTRE POLITICHE DA ADOTTARE. NECESSARIO COLLABORARE CON I MEDICI DI FAMIGLIA  – “Al fine di favorire l’emersione del sommerso, dovranno essere ulteriormente potenziate le collaborazioni fra Medicina Territoriale e Centri Prescrittori. In particolare, questi ultimi dovranno ottimizzare i loro rapporti con i SERD – evidenzia la prof.ssa Maurizia Brunetto, Direttore UO Epatologia – Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi e il trattamento delle epatopatie croniche e del tumore di fegato e Professore Straordinario Medicina Interna – Dipt. di Medicina Clinica e Sperimentale – Università di Pisa – Sarà cruciale riuscire ad ottenere un più pieno coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale, che devono diventare i protagonisti del percorso di cura grazie all’identificazione del soggetto infetto. Infine, sarà fondamentale creare percorsi semplici per accedere allo screening e quindi al trattamento: in questo momento il soggetto affetto da HCV ma asintomatico evita le strutture sanitarie per timore dell’infezione da SARS-CoV2 ed è ancora più difficile da individuare”.

LA SITUAZIONE NEL LAZIO. OBIETTIVO GLI ASINTOMATICI – Nel Lazio, come nelle altre regioni italiane, si è assistito ad una riduzione dei pazienti candidabili al trattamento antivirale, che si è accentuata nell’era COVID, soprattutto per la temporanea impossibilità dei pazienti ad afferire al centro ospedaliero. “Dopo la fase di difficoltà operativa durante e subito il termine del blocco di aprile, l’attività del centro è ripresa regolarmente – spiega il Prof. Mario Angelico, Ordinario di Gastroenterologia, Università Tor Vergata e Direttore Unità di Epatologia e Trapianti, Fondazione Policlinico Tor Vergata – Attualmente si presta molta attenzione per semplificare al massimo le procedure di screening pretrattamento e il numero di accessi in ospedale durante la terapia, che sono ora minimizzati. Poiché al nostro Centro (UOC di Epatologia), in virtù della sua peculiarità e della stretta interazione con il Centro trapianti, afferiscono ancora numerosi pazienti con cirrosi (che nella nostra realtà regionale non sono affatto spariti ma rappresentano ancora il 20-25% della popolazione da trattare), viene doverosamente sempre data particolare attenzione ad una corretta suddivisione in stadi della malattia, nonché ad avviare successivamente il paziente cirrotico HCV eradicato ad un corretto programma di sorveglianza delle complicanze, e soprattutto dell’epatocarcinoma. Riteniamo che l’identificazione dei pazienti cirrotici “inconsapevoli”, usualmente ancora asintomatici, sia una priorità sanitaria di grande rilevanza, essendo questi i pazienti che, se non prontamente trattati, avendo usualmente un’età compresa tra 60 e 75 anni, hanno le maggiori probabilità di sviluppare complicanze gravi e di morire per la malattia HCV-relata”.