Epatocarcinoma nel Lazio, morte 896 persone nel 2020: Latina la provincia più colpita dopo Roma

LATINA – “È urgente elaborare nel Lazio una strategia che favorisca la formazione di una Rete territoriale per la gestione dell’epatocarcinoma, con l’obiettivo di poter garantire a tutti i pazienti della regione una precoce identificazione dei casi ed una rapida presa in carico e garantire un accesso al miglior trattamento possibile omogeneo, indipendente dal luogo di residenza, dal censo e dal livello culturale”. È la richiesta arrivata dagli esperti riuniti all’evento ECM dal titolo ‘L’epatocarcinoma nel Lazio. Focus sulle diverse realtà territoriali’, che si è svolto nei giorni scorsi a Latina, organizzato dal provider Letscom E3 con il patrocinio di ASL di Latina, Ordine dei Medici della provincia Latina ed EpaC Onlus. Responsabile scientifico dell’iniziativa il Professor Adriano De Santis, associato di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma, e Dirigente Medico nella UOC di Gastroenterologia del Policlinico Umberto I di Roma. A portare i saluti istituzionali, il Prof. Domenico Alvaro, preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria, il Prof. Paolo Villari, Preside della facoltà di Farmacia e Medicina, Sapienza Università di Roma, e il dottor Sergio Parrocchia, direttore sanitario della ASL Latina.
“Ad oggi purtroppo sussiste una disparità nei percorsi di presa in carico e cura dei pazienti affetti da epatocarcinoma nel Lazio- ha sottolineato il professor De Santis- la distribuzione delle risorse sul territorio, infatti, non risulta uniforme e non tutti i centri regionali dispongono di tutte le opzioni diagnostiche e terapeutiche. L’epatocarcinoma è una patologia grave che in genere insorge su fegato cirrotico e che coinvolge molti professionisti, a cominciare dai medici di medicina generale, con cui vorremmo stabilire un rapporto di collaborazione stretta per facilitare la vita dei pazienti colpiti da questa grave malattia”. Nel Lazio, nel 2020, 51.835 persone risultavano affette da cirrosi epatica, la malattia predisponente allo sviluppo dell’epatocarcinoma. Di queste 5.099 risiedevano nella provincia di Latina, prima per numerosità dopo Roma tra le altre province. Nello stesso anno, nella provincia di Latina, 184 pazienti sono stati ricoverati per epatocarcinoma ed 86 sono morti. In totale, nel Lazio, nel 2020 sono decedute 896 persone.

Durante la prima sessione, in particolare, sono state analizzate e messe a confronto le diverse realtà locali che si occupano del percorso di diagnosi e cura dell’epatocarcinoma, con un focus sugli ospedali di Latina, Aprilia, Formia e Terracina. Sono state esaminate quindi le interazioni tra questi centri ospedalieri e altre strutture di eccellenza, come l’Azienda Ospedaliera-Universitaria Policlinico Umberto I e l’Azienda Ospedaliera San Camillo di Roma. I temi trattati, sull’identificazione dei pazienti a rischio e sulla gestione, hanno incluso la prevenzione, la diagnosi precoce e la stadiazione, oltre all’avvio di percorsi di cura multidisciplinari. “La ASL di Latina ormai da 15 anni segue pazienti affetti da epatopatie croniche avanzate e cirrosi epatica e le sue complicanze come l’epatocarcinoma- ha raccontato il professor Lorenzo Ridola, direttore della UOC di Gastroenterologia dell’ospedale ‘S. Maria Goretti’ di Latina- Da tempo è attivo un sistema di gestione multidisciplinare per questa patologia così impattante per il paziente, il caregiver e il sistema sanitario, con l’apporto fondamentale di tutti i protagonisti coinvolti, gastroenterologi, internisti, oncologi, radiologi e chirurghi. Confidiamo molto nel valore della gestione multidisciplinare di questa patologia e ci auguriamo un grande coinvolgimento del territorio per agire in maniera sinergica per il miglioramento della prognosi dei pazienti”.

Ad intervenire anche il dottor Oreste Bagni, responsabile della UOC di Medicina Nucleare del ‘Goretti’ di Latina, che ha raccontato: “La Medicina Nucleare di Latina eroga dal 2004 prestazioni di radioembolizzazione epatica insieme al team multidisciplinare. L’esperienza ci ha portato a trattare oltre 1.500 pazienti e, di questi, oltre il 60% era affetto da epatocarcinoma (mentre gli altri da patologie epatiche e/o lesioni epatiche di altro tipo). Abbiamo quindi avviato da tempo una proficua collaborazione con il Tumor Board dell’Umberto I di Roma, grazie alla quale noi oggi possiamo presentare questi dati così confortanti”. È stata poi sottolineata l’importanza dell’utilizzo di nuovi farmaci e della crescita tecnologica applicata nella cura, con uno sguardo anche all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. “Questi elementi- hanno sottolineato gli esperti- sono sempre più cruciali per migliorare la vita dei pazienti, offrendo un servizio di qualità superiore ai pazienti e alle loro famiglie”. La seconda sessione, invece, incentrata sul paziente al centro del percorso di diagnosi e cura, ha visto la formazione di gruppi di lavoro di medici che, attraverso una discussione interattiva, hanno analizzato alcuni casi clinici di real-life. La giornata si è conclusa con una tavola rotonda per discutere sulle proposte per arrivare a realizzare una “concreta parità di accesso” alla diagnosi ed alla cura dell’epatocarcinoma.

L’evento ‘L’epatocarcinoma nel Lazio. Focus sulle diverse realtà territoriali’ segue due precedenti incontri: il primo organizzato a Frosinone nell’ottobre 2022 ed il secondo a Rieti nel dicembre 2023. “Il nostro obiettivo è raggiungere tutte le province del Lazio per poter creare una rete collaborativa a tutto vantaggio dei pazienti affetti da una patologia così importante”, ha concluso infine il professor De Santis, che ha annunciato il proposito di organizzare un nuovo evento per il prossimo anno che vedrà coinvolta la provincia di Viterbo e, successivamente, un incontro conclusivo del progetto, nato a livello universitario “ma con un respiro regionale, che si svolgerà con molta probabilità a Roma”.

L’EPATOCARCINOMA
L’epatocarcinoma (HCC) è il più frequente tumore primitivo del fegato ed è tra le prime cinque cause di mortalità per neoplasie. Questo raramente insorge nel contesto di un fegato sano, rappresentando invece spesso una complicanza delle malattie epatiche croniche quali la cirrosi epatica, di diversa eziologia, come infezioni croniche da HBV, HCV, abuso etilico, malattie metaboliche e autoimmunità. Nel 2023, secondo i numeri contenuti nell’ultimo Rapporto AIOM ‘I numeri del cancro in Italia’, sono state stimate circa 12.200 nuove diagnosi di tumore al fegato, mentre nel 2022 sono state stimate 9.600 morti (6.300 negli uomini e 3.300 nelle donne). Sono 33.800 le persone viventi in Italia dopo una diagnosi di tumore del fegato. Il riconoscimento precoce dei pazienti a rischio, secondo gli esperti, è “cruciale” per la implementazione di programmi di sorveglianza. Da questo punto di vista è “necessario” coinvolgere tutte le figure professionali, dal medico di medicina generale, ai medici specialisti delle ASL e a quelli ospedalieri di diverse discipline che, attraverso una anamnesi accurata e l’applicazione dei programmi di screening per le patologie virali croniche quali, ad esempio, quella in corso per il riconoscimento della infezione cronica da HCV, possono portare ad un anticipo della diagnosi di HCC.




Epatocarcinoma, nel Lazio non c’è uniforme disponibilità di opzioni

Roma – ‘L’epatocarcinoma nel Lazio. Focus sulle diverse realtà territoriali’. È il titolo dell’evento formativo svoltosi lo scorso 16 dicembre presso il Centro Congressi Park Hotel Villa Potenziani a Rieti.

Realizzato con il patrocinio della Asl Rieti e dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Rieti, l’incontro ha avuto l’obiettivo di uniformare e standardizzare il management delle principali patologie con cui, quotidianamente, si confronta sia l’ospedale che il territorio, purtroppo caratterizzato da una non uniforme distribuzione delle risorse e dalla non uniforme disponibilità da parte dei Centri laziali di tutte le opzioni diagnostiche e terapeutiche.
Risulta dunque fondamentale individuare le criticità delle varie realtà per poter elaborare una strategia che favorisca anche la formazione di una Rete Territoriale per la gestione dell’epatocarcinoma, il più frequente tumore primitivo del fegato, tra le prime cinque cause di mortalità per neoplasie.
Dall’incontro è emerso che raramente l’epatocarcinoma insorge nel contesto di un fegato sano, rappresentando invece spesso una complicanza delle malattie epatiche croniche quali la cirrosi epatica, di diversa eziologia: infezioni croniche da HBV, HCV, abuso etilico, malattie metaboliche e autoimmunità.
Il riconoscimento precoce dei pazienti a rischio è cruciale per la implementazione di programmi di sorveglianza. La diagnosi può essere posta sia in modo non invasivo mediante imaging con contrasto (CT/RM), sia tramite biopsia epatica.
Responsabile scientifico del corso il professor Adriano De Santis, professore associato di Gastroenterologia presso l’Università La Sapienza di Roma e dirigente medico presso l’Unità Complessa di Gastroenterologia del Policlinico Umberto I. “Questo convegno- ha spiegato- rappresenta la seconda edizione di una esperienza che avevamo realizzato lo scorso anno a Ferentino, in provincia di Frosinone, con l’idea di facilitare il percorso di diagnosi e cura dei pazienti affetti da epatocarcinoma, una patologia complessa in quanto si tratta di un tumore che nasce su una patologia ancora più complessa, che è la cirrosi epatica”.
“La gestione di questo tumore- ha proseguito De Santis- necessita della collaborazione tra diversi specialisti e spesso, soprattutto negli ospedali periferici, c’è mancanza non solo di figure professionali ma anche di tecnologia che consenta a tutti i pazienti di avere le stesse chance ci cura e, dunque, di guarigione”.
“L’obiettivo di questa seconda edizione- ha affermato- soprattutto alla luce dell’arrivo dell’Università La Sapienza di Roma nella sanità reatina con un corso di laurea in medicina e chirurgia, che ha portato alla collaborazione con l’unità di gastroenterologia di Rieti ed all’arrivo del radiologo universitario che ha modificato drasticamente l’impatto della radiologia nel percorso di diagnosi e cura non solo dell’epatocarcinoma ma di numerose altre patologie nella città di Rieti, è impedire la migrazione dei pazienti verso altre realtà per lo svolgimento di un esame radiologico”.
“Lo scopo finale dell’iniziativa- ha poi sottolineato- è quello di facilitare il percorso di diagnosi e cura del paziente cirrotico che ha fatto, o farà, l’epatocarcinoma. E questo necessita della collaborazione della medicina di base, che per tanti motivi ha ancora difficoltà a entrare in contatto diretto con gli specialisti di riferimento anche in realtà piccole come quella di Rieti. Vi è inoltre la necessità di mettere a disposizione della popolazione reatina quelle tecniche di cura che non possono essere presenti in tutti gli ospedali ma che devono invece esserlo negli ospedali cosiddetti ‘Hub’. Mi riferisco alle tecniche di radiologia interventistica e, soprattutto, alla chirurgia resettiva, una delle tecniche di terapia dell’epatocarcinoma che può essere eseguita in maniera sicura solo nei grandi nosocomi. L’approccio terapeutico deve poi essere associato anche alla possibilità di offrire al paziente un trapianto di fegato, come avviene nell’Unità Trapiantologica dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma”.
Vito Cantisani, professore associato di Radiologia, Teleradiodiagnostica, all’ospedale San Camillo De Lellis, Rieti. Sapienza Università di Roma, ha tenuto a ribadire che “un evento come questo rientra nell’ambito delle necessarie iniziative che porteranno l’Università La Sapienza a integrarsi sempre di più con il territorio e con l’ospedale. Per ottimizzare la cura al paziente è infatti sempre più necessaria l’integrazione tra territorio, ospedale e Università e la creazione di un lavoro sinergico che parte dalla diagnosi e arriva alla terapia”.
Al corso ha preso parte anche il responsabile Uosd Gastroenterologia, ospedale San Camillo De Lellis, Rieti, Maurizio Giovannone. “Nell’ambito della gastroenterologia- ha sottolineato- negli ultimi due anni siamo riusciti a realizzare un ambulatorio di epatologia, in considerazione del fatto che, storicamente, un ambulatorio di gastroenterologia si interessava esclusivamente del tubo digerente. Riusciamo a seguire i pazienti, a fare esami strumentali come l’ecografia e, nei casi dell’epatocarcinoma, li gestiamo attraverso la radiologia e li inviamo poi a un Centro di riferimento di secondo livello dell’Università La Sapienza partecipando in videocollegamento ad un board multidisciplinare che si riunisce settimanalmente presso il Policlinico Umberto 1 di Roma”.
Spazio poi al ruolo del chirurgo nel trattamento dell’epatocarcinoma, tema su cui si è soffermato Fabio Melandro, professore associato di Chirurgia Generale, Uoc Chirurgia Epato-biliare e trapianti d’organo, PU Umberto 1°, Sapienza Università di Roma. “Il mio compito- ha informato- è quello di offrire una doppia opzione terapeutica: da una parte la resezione nei pazienti con fegato compensato e con una patologia monofocale o bifocale, dall’altra il trapianto nei pazienti che hanno indicazione a essere sottoposti a questa procedura, all’interno di criteri morfo volumetrici”.
A prendere la parola anche il dirigente medico, DAI Scienze radiologiche, oncologiche ed anatomopatologiche, PU Umberto 1° di Roma, Pierleone Lucatelli. “Tra gli obiettivi di questo meeting multidisciplinare sull’epatocarcinoma- ha commentato- c’era anche quello di presentare al territorio di Rieti il ruolo della chirurgia interventistica oncologica, grazie alla quale siamo parte integrante del trattamento di questi malati molto fragili. Lavorando insieme, nel prossimo futuro potremo facilitare l’accesso alle cure a questa tipologia di pazienti, grazie anche alla collaborazione tra ospedale e Università”.
Infine le parole della dottoressa Marcella Milano, medico di famiglia di Rieti. “Nel corso del mio intervento- ha evidenziato- ho sottolineato le difficoltà che attualmente abbiamo noi medici di famiglia nella gestione dei pazienti che accedono ai nostri ambulatori per un problema semplice: abbiamo una situazione di burnout legata alla burocrazia che sottrae tempo alla nostra professione di clinici”.