Filippo Gorini e il suo progetto ‘Sonata for 7 cities’ (II Parte)

Incontriamo il giovane pianista per un’intervista in due puntate circa la sua nuova impresa musicale e umanitaria in sette città del mondo. (Parte seconda)

di CINZIA DI CHIARA-

Il nostro dialogo col pianista Filippo Gorini riprende alla conclusione della tappa viennese, la prima del suo Progetto ‘Sonata for 7 cities’, residenze artistiche di un mese a Vienna, Città del Capo, Hong Kong, Portland, Bogotà, ancora da definire la tappa australiana, e infine Milano, dove il pianista brianzolo terrà i suoi concerti, sia in sale prestigiose sia presso comunità in difficoltà, proponendo l’ascolto di opere di giganti del passato, ma, in più, ogni volta in prima assoluta, una sonata per pianoforte appositamente commissionata a compositori contemporanei.

A proposito del suo progetto delle ‘7 città’ in giro per il mondo, come nasce la strutturazione della residenza di un mese, chi organizza gli incontri, oltre ai due concerti canonici, in collaborazione con le istituzioni locali?

Sono supportato da un’istituzione concertistica importante in ciascuna delle città che mi ospitano: a Vienna il Konzerthaus, a Milano la Società del Quartetto, altrove saranno quelle istituzioni locali che si occupano di organizzare il concerto pubblico ad aiutarmi logisticamente in un lavoro di squadra per organizzare gli altri appuntamenti. Io metto a disposizione un mese del mio tempo onde realizzare tutto questo e suonare in ospedali piuttosto che in scuole senza percepire alcun compenso. Le sponsorizzazioni che ho ricevuto con il “Franco Buitoni Award” mi permettono di sostenere le spese di un mese di soggiorno e quando necessario di portare un pianoforte in una struttura. A Vienna la disponibilità di pianoforti presso scuole e ospedali è sorprendente, vi sono strumenti ovunque. Nel caso in cui non ve ne fossero, ha provveduto la casa Steinway, gratuitamente.

-Per attuare un progetto così impegnativo ha dovuto cancellare dei concerti?

Ho cercato di spostarli, laddove possibile, altrimenti ho rischiato di perderli, ma, lo sottolineo, per me tale esperienza artistica e umana vale la pena.

Lei è figlio di due scienziati. Aver respirato in famiglia il clima culturale che accompagna le persone dedite allo studio e alla ricerca ha contribuito affinché il suo impegno divenisse una vera missione?

Come sono solito affermare, dalla mia famiglia ho ricevuto molto. Il suo ruolo è stato importante nel farmi conoscere la musica, poiché mio padre suonava il pianoforte. In casa c’era uno strumento e ascoltare musica costituiva un’abitudine. Importante da parte dei miei anche il merito di non forzarmi mai a studiare, lasciando che il mio cammino verso la musica fosse libero. Essi hanno lasciato che io conducessi un percorso nel quale l’amore per il mio strumento diveniva sempre più serio e allorquando ho avuto bisogno di un pianoforte a coda sono stati subito disponibili. Inoltre, mi hanno donato valori umanamente solidi. L’educazione che ho ricevuto è quella datami dai miei genitori, dai miei insegnanti, dalle mie scuole.

Quali riscontri ha avuto intorno a sé, di questo progetto, con i colleghi?

Ho raccolto un entusiasmo diffuso e ora molti musicisti vorrebbero offrire il loro servizio in modo simile al mio. Non tutti purtroppo sono nella posizione di poterselo permettere. Effettivamente io sono privilegiato, posso prendermi un mese per offrire concerti senza compensi mentre altri musicisti, soprattutto fra i giovani, non possono per questioni economiche. E in molti mi chiedono spiegazioni e consigli per realizzare questa idea.

Certamente un’idea che troverà proseliti

Sì, tanto che il progetto “Sonata for 7 cities” è diventato un’associazione no profit, mezzo per raccogliere fondi, che serviranno anche ad altri artisti oltre a me, per consentire residenze di questo tipo.

A Vienna, in collaborazione col Konzerthaus, con la casa Steinway e con altri collaboratori ho fondato una rete di luoghi idonei cosicché non sarà difficile per altri artisti partecipare a questo stesso progetto.

Il futuro della mia idea sono i nuovi artisti che riuscirò a coinvolgere nel portare la musica nel mondo secondo le istanze programmatiche fondanti: io posso dedicare un mese a una città, dieci artisti possono dedicare dieci mesi a dieci città e, se il progetto individuale diviene invece un movimento, la sua valenza risulterà moltiplicata.

Vienna è dunque il primo passo di questo grande giro del mondo. Come ha trascorso gli ultimi giorni prima di lasciarla?

Ho cercato di salutare i luoghi che in questo mese mi sono rimasti più cari e di visitare gli ultimi musei non ancora visti. Poi, sono tornato ad ascoltare Mao Fujita, già sentito con la Camerata Salzburg diretta da Oscar Jockel, uno dei concerti più belli che io possa ricordare: un suono di una poesia, di una quantità di colori, di una bellezza! E tutta la semplicità di un ragazzo che sembra totalmente disinteressato ad apparire o a conquistare il successo, completamente rapito dall’incanto di ciò che suona, la musica di Mozart, in una maniera come pochi sono in grado di fare. Da Radu Lupu non mi capitava più di sentire un Mozart così poetico. La loro personalità certamente è diversa. Rispetto a Fujita, Lupu appare più introspettivo, di una tristezza profonda, commuove tantissimo. Mao è anch’egli introverso, comunica in modo poetico, sembra che le note, una ad una, non appoggino mai in terra ma siano sempre leggere, vaporose, ed esistano nelle sfere celesti. Tuttavia, la sua è un’introversione positiva, col sorriso su ogni nota.

–  Ma non abbiamo ancora parlato dell’aspetto del suo progetto riguardante la musica contemporanea

Sì, ho commissionato brani per ogni città toccata dal progetto, per un pubblico non soltanto intellettuale ma per persone di ogni tipo.

La sua premessa lascia arguire che desideri opere non concepite ‘in laboratorio’, visto che la musica contemporanea è spesso considerata qualcosa di sempre più avulso dall’uomo e dalla società

Il ‘900 è stato un secolo davvero complicato che ha generato musica che amo moltissimo, estremamente complessa e talora difficile da presentare al pubblico, cosa che tuttavia io insisto nel fare con convinzione. Sono innamorato del valore di questo repertorio, tanto quanto lo sono di Beethoven. Quale committente ho inteso sottolineare ai compositori che la loro opera non è destinata all’esecuzione, una o due volte, in una rassegna di musica contemporanea per essere poi messa via, ma per essere suonata. Volevo innanzitutto un’opera importante non un pezzetto da due minuti. Ad esempio, la sonata di Stefano Gervasoni dura ventidue minuti in un’unica grande arcata musicale dalla densità espressiva fortissima: un pezzo che a Vienna ha ottenuto presso il pubblico lo stesso successo della 111 e di Schubert. Questo mi ha dato una soddisfazione enorme poiché trovo che sia davvero unica, poeticamente ispirata, costruita con tecniche, linguaggio e armonie che derivano dalla conoscenza di tutto il ‘900, dunque musica non semplice, affatto scontata, ma che si sente provenire da un cuore molto forte.

–  Contribuire alla diffusione della musica contemporanea è impresa importante

Riconosco che vi sono repertori e compositori dalla valenza molto incisiva, che deve essere valorizzata, tanto più che, nel mondo musicale, spesso la contemporanea si separa dal repertorio della tradizione: vi sono rassegne apposite, un pubblico specifico, esecutori specializzati e ciò, per me, rischia di ghettizzare opere significative, quindi il repertorio ne soffre.

–  Paradossalmente la contemporanea pare talora distaccata dal tempo attuale, che è il tempo suo proprio, e piuttosto di nicchia a livello di pubblico e di fruizione

Non per responsabilità dei compositori. Oggi è molto facile dire che i compositori non scrivono per il pubblico. Essi scrivono in maniera urgente e profonda per sé stessi come hanno fatto i loro predecessori e per il mondo. Il rapporto più o meno agevole che si instaura con la realtà e con il pubblico è anche mediato da noi interpreti. Dipende dalla cura con la quale eseguiamo queste opere, a dire il vero non sempre ben eseguite. Dipende dal modo di programmarle insieme ad altri capolavori, nonché dalla fiducia che abbiamo nei compositori. Decidere di suonare Gervasoni per pazienti psichiatrici è un atto di fiducia nella carica emotiva di questa musica e nel suo vigore espressivo e sotto tale aspetto io avverto, nel dipanarsi del brano, la gratitudine dell’autore e la sua ispirazione nell’atto compositivo.

  • Dunque com’è andata con la Sonata di Gervasoni?

La Sonata è stata proposta non solo a uno di quei meravigliosi circoli, e non intendo minimamente criticare il pubblico della musica contemporanea che è splendido, è uno dei pubblici più curiosi, più vivaci e aperti che si possano incontrare, ma nella mensa dei senzatetto.

Credo che per me e per Stefano poter offrire questo pezzo non solo a un’élite intellettuale, bensì spalancarlo a un’umanità molto più vasta, sia stato motivo di forte ispirazione, per lui nella composizione, per me nello studio.

Tra i compositori ho cercato di trovare figure che io stimassi e nella cui musica credessi con quel grado di fiducia che ho descritto. E con tale spirito, ho dato l’incarico di creare un’opera nuova a nomi di tutte le età, come Oscar Jockel, il direttore che ha diretto Mao con la Camerata Salzburg, un ragazzo della mia età che nel ruolo di compositore scriverà il brano destinato all’esecuzione nella tappa in Australia, fino a compositori come Beat Furrer, che invece ha già più di settant’anni, e, allo stesso tempo, a figure provenienti da realtà personali molo varie, come Yukiko Watanabe, giovane compositrice giapponese che scriverà il brano per la tappa in Colombia del mio progetto. L’uno accanto all’altro, due mondi che ho visitato lo scorso anno pressoché incompatibili: il silenzio e la ritualità del Giappone contrapposti alla forza selvatica, ai colori, alla danza e al rumore onnipresente di quella splendida terra che è la Colombia.

Tutto ciò mi ha permesso di creare dei ponti, anche grazie alla collaborazione con Ruggero Romano, regista di Torino residente a Venezia, specializzato in documentari sociali. Colpito dalla mia iniziativa questi ha deciso di raccontare il mio viaggio in sette episodi da una mezz’oretta ciascuno.

  • Praticamente, sulla scorta delle precedenti puntate dedicate all’Arte della Fuga di Bach, realizzerà dei filmati per ciascuna tappa del suo viaggio

Stavolta ogni film racconterà trenta giorni di incontri con persone, realtà, paesaggi umani, protagonista la musica che incontra un pubblico eterogeneo, mentre io sarò uno dei personaggi del documentario. Ci teniamo molto entrambi, il regista ed io, che protagonista sia l’incontro tra la musica e un popolo.

Il modo di impiegare la sua arte in favore delle necessità spirituali di gruppi umani disparati sembra essere una formula inedita e, quale promotore, lei vi ricopre un ruolo fondamentale, per una musica che si apre al nuovo con la collaborazione del regista, il documentario, gli istituti sociali: lei ha creato tutto questo

Grazie di questa considerazione. Io cerco di fare ciò in cui credo. Col passare del tempo vengo a conoscenza di situazioni, scopro strutture e, avendo autonomia di azione, questi ne sono i frutti: poter portare la musica in una sala stupenda o a un pubblico che ha bisogno di ricevere del bene. Essermi creato uno spazio di azione a Vienna, ove ho proposto un programma che amo infinitamente in ogni singola nota compresa un’opera scritta apposta per me, è esperienza che sognavo e ora sto realizzando. Spero di poter lavorare come artista, in futuro, nel modo più personale possibile, cioè con la libertà di agire secondo ciò che maggiormente sento di autentico e sincero.

Sembra di scorgere in questo suo proclama una nuova immagine di artista e di musicista, vantaggiosa e benefica per il nostro tempo e per le sue necessità. Tutto ciò sembra sgorgare da una mente colta unitamente a un cuore che trapela da tutto quanto lei ha illustrato

La ringrazio, ma mi premeva che un programma al quale dedico tanto studio e tanta passione al momento dell’esecuzione venisse registrato per tutto il pubblico internazionale, pertanto i recital in ciascuna città saranno registrati e pubblicati in versione discografica sia in video

Una registrazione non comoda, lontana dalla casa d’incisione

L’obiettivo non è quello di realizzare un prodotto perfetto dell’ideale interpretativo di Filippo Gorini. In questo momento sono molto più interessato al radicamento della musica nella società, dal vivo. Il disco è un documento che riassumerà mesi di incontri di questa musica con il mondo.

  • La prossima tappa?

Città del Capo, in settembre. Ma prima, passando da Ferrara verrò una settimana a Roma, dove sono atteso a fine mese per insegnare nel contesto dell’Avos Music Project, farò un paio di incontri con delle classi di liceo e il prossimo 27 marzo suonerò l’op. 111 di Beethoven e la Sonata in Si b di Schubert al Teatro Argentina per l’Accademia Filarmonica Romana.

Per una settimana all’anno, sebbene in forma ridotta rispetto a ciò che ho potuto fare a Vienna, mi dedicherò anche alla città di Roma.

Mentre ringrazio Filippo Gorini di aver condiviso le istanze più intime e spirituali circa la sua arte, credo una volta di più che la bellezza possa fare molto per il mondo. E che al mondo vi sia sempre qualche protagonista che ha ben presente tale concetto e lo applica nel proprio vivere, così salvando la bellezza stessa.

 (Intervista raccolta il 12 marzo 2025)

 FILIPPO GORINI CHI È

 “Sogno di suonare dove c’è qualcuno che vuole ascoltare, in Giappone, Italia o America, in una sala da concerto o in una casa di riposo.”

Nato nel 1995 da genitori fisici nucleari (il padre, Giuseppe, è direttore del Dipartimento di Fisica all’Università agli Studi di Milano-Bicocca ed è stato insignito del premio Artoran nel 2022), Filippo Gorini si è avvicinato al pianoforte all’età di quattro anni. Tra le sue passioni la scrittura e la matematica, tra i sogni quello della regia.

Diplomatosi con Maria Grazia Bellocchio al Conservatorio “G.Donizetti” di Bergamo con lode e menzione d’onore e perfezionatosi con Pavel Gililov, presso il “Mozarteum” di Salisburgo seguito anche da Alfred Brendel, Gorini nel 2015 ha vinto il premio Telekom-Beethoven di Bonn.

Musicista che non si limita al mero virtuosismo, ha avuto altri importanti riconoscimenti, anche per il suo primo album con le Variazioni Diabelli di Beethoven nel 2017 e per la registrazione, per Alpha Classics, di opere tarde di Beethoven e Bach: un Diapason d’Or Award e recensioni a 5 stelle su The Guardian, BBC Music Magazine, Le Monde.

Ha ottenuto altresì il “Borletti Buitoni Trust Award” nel 2020, grazie al quale è nata l’idea del progetto multidisciplinare “Arte della Fuga” e, a seguire, il “Premio Abbiati” quale migliore solista del 2022.

A tali riconoscimenti si aggiungono il Premio “Una vita nella musica – Giovani” 2018, assegnato dal Teatro La Fenice di Venezia, il “Beethoven-Ring” conferito dall’associazione “Cittadini per Beethoven” di Bonn (2016), il premio del Festival “Young Euro Classic” di Berlino (2016).

Collabora con orchestre importanti, come l’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo, l’Orchestra Verdi di Milano, l’Orchestra di Santa Cecilia di Roma, l’Orchestra Sinfonica del Lichtenstein, la Filarmonica Slovacca, l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, la Klassische Philharmonie di Bonn, la Nagoya Filarmonica, l’Orchestra Sinfonica delle Fiandre, la Filarmonica Gyeonggi di Seul, l’Opera Nacional de Chile, invitato sempre presso sale prestigiose, tra le quali la Elbphilharmonie di Amburgo, la Herkulessaal di Monaco, la Tonhalle di Zurigo, il Konzerthaus di Berlino, il Teatro alla Scala di Milano, la Carnegie Hall di New York, il Concertgebouw di Amsterdam, il Konzerthaus di Vienna, la Wigmore Hall di Londra, la Van Cliburn Foundation, la Vancouver Recital Society.

In Italia si esibisce per la Società del Quartetto di Milano, il Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo, l’Accademia Filarmonica Romana, l’Unione Musicale di Torino, la GOG di Genova, Ravenna Festival, Bologna Festival, Ravello Festival.

Incide in esclusiva per Alpha Classics/Outhere ed è stato lodato da Andrei Gavrilov come “musicista con una combinazione di qualità artistiche rare: intelletto, temperamento, ottima memoria, immaginazione vivida e grande controllo”.

 

 

 

 

 




Il pianista Filippo Gorini e il suo viaggio nell’ultima opera di Bach

di CINZIA DI CHIARA-

Volge in dirittura d’arrivo il ciclo di tredici trasmissioni, in onda ogni giovedì sera su Rai 5, dedicate all’Arte della Fuga, capolavoro incompiuto di Johann Sebastian Bach che Filippo Gorini, concertista impostosi all’attenzione del pubblico quale vincitore di concorsi internazionali importantissimi come il Telekom-Beethoven di Bonn (2015), ha realizzato attraverso dialoghi con artisti, studiosi e scienziati di varie parti del mondo, compiendo un giro di ricognizione intorno a un’opera che ancora oggi ci interroga per la sua complessità trascendentale. L’Arte della Fuga, raccolta di fughe a tre e a quattro voci, canoni a due voci e un corale a quattro voci, apoteosi della scienza contrappuntistica, utilizza tutte le tecniche compositive possibili per un tema dato: fughe doppie, triple, invertite, per aumentazione, per diminuzione, canoni all’ottava, alla duodecima, doppio contrappunto alla decima. Un vero rompicapo, di una grandezza assoluta e stupefacente.

Ci incontriamo per una conversazione davvero interessante che evidenzia l’amore sconfinato per l’arte e la cultura, nonché la spiccata sensibilità e l’impegno a tutto campo del ventottenne pianista lombardo.

  • Benvenuto e grazie di questo incontro. Stavolta ci hai sorpreso coordinando un progetto ambizioso: una descrizione pluridisciplinare dell’ultimo capolavoro bachiano, realizzata con il contributo di vari interpreti della bellezza e del mistero delle leggi dell’universo

Ho amato quest’opera fin dalla prima volta che l’ho incontrata, negli anni di conservatorio, giungendo a suonare alcuni contrappunti come bis nei miei concerti. Con la pandemia ho capito che era il momento di entrare in essa profondamente, finché, grazie al supporto del premio Borletti-Buitoni Trust Award (2020), ho potuto pensare a un progetto totalmente libero: portare all’attenzione del pubblico un’opera considerata, specialmente nel secolo scorso, come qualcosa di astratto, di teorico e speculativo che ha poco a che fare con le emozioni, quasi fosse fatta non per essere ascoltata ma per essere studiata e analizzata poiché  capolavoro di artigianato, di virtuosismo e razionalità compositivi. Aspetti che sicuramente esistono, in una composizione che tuttavia li trascende.

Mi sembrava che l’insistenza su tale aspetto avesse allontanato da quest’opera il pubblico e forse gli stessi musicisti, e, per contro, trovavo nelle varie discipline di cui mi interesso ricorrenti riferimenti alla musica di Bach, a volte espliciti a volte più difficili da individuare ma comunque dichiarati, da parte di scienziati, artisti e varie personalità. Ho pensato quindi che rivelare l’amore per questa musica e come questo abbia accompagnato il lavoro e l’atto creativo di una mente geniale, non necessariamente di un musicista, potesse essere una chiave di partenza per avvicinare le persone a Bach.

Quindi ho voluto costruire una riflessione corale sulla bellezza profonda e commovente di questa musica e nel frattempo offrire anche, contrappunto per contrappunto, l’opportunità di ascoltarla.

  • Nelle puntate andate in onda, magnifiche ogni volta, è stato come immergersi in un mondo nel quale il punto di vista dell’architetto, piuttosto che della matematica, della neuroscienziata o di un pianista del calibro di Alfred Brendel, a mo’ di principio dei vasi comunicanti, riconduce sempre ad unum: ciascuno di loro ha indicato aspetti fondamentali dell’Arte della Fuga, cosicché musica, matematica, architettura, pittura sembrano trovare un comune denominatore in un’unica scaturigine. Partiamo da Alfred Brendel, il quale spiega come abbia appreso a suonare in modo polifonico. Che cosa ti ha dato e che cosa dà all’ascoltatore il suo intervento al fine di comprendere meglio la polifonia bachiana?

Parlare con Brendel, che conosco da anni per la fortuna di aver seguito molte lezioni sulla musica di Schubert e di Beethoven ma anche di Schumann e Brahms, colpisce per l’estrema intensità: negli occhi, nell’espressione del viso, nella sua fisicità si legge una quantità di emozioni che lo pervade.

Il pianista e poeta austriaco si è interessato allo studio delle fughe fin da giovane, proprio per il contrappunto sotteso alle voci che le muovono. Dare a ciascuna di esse la giusta caratterizzazione è una lezione che ho ricevuto da lui ma è anche qualcosa che io stesso ho affrontato in maniera più profonda sentendo cambiare il mio orecchio e maturare una capacità di analisi, ora di gran lunga maggiore. Tanto che anche i consigli che avevo ricevuto negli anni da tutti i miei maestri mi sono tornati più chiari. È l’opera che ho studiato di più; ha portato il mio modo di suonare a un livello di compimento decisamente nuovo.

  • Il violoncellista inglese Steven Isserlis che hai intervistato a Cremona presso L’Accademia Stauffer

sostiene che Bach sia riuscito a scrivere meglio di chiunque altro per il suo strumento senza ricorrere ad effetti speciali e ad artifici vari

I grandi compositori, e Bach in particolare, soprattutto nella maturità riescono ad ottenere una forza comunicativa assoluta con economia di mezzi, partendo cioè da un materiale musicale semplice e scarno, mentre i giovani generalmente usano una sovrabbondanza di materiale compostivo che crea interesse e vivacità apparenti, scavando molto meno nella sostanza musicale, che poi è la sostanza di cui siamo fatti noi umani nel nostro intimo. In effetti il ‘900 ha dato ai compositori modalità e strumenti estremamente liberi, dall’uso dell’elettronica all’uso degli strumenti preparati, con ritmica, agogica e armonia ad ampio spettro e quindi il compositore cerca di trarre da tutto questo una sintesi per realizzare un linguaggio personale intenso e ancora d’avanguardia, dunque nuovo.

  • A proposito della complessità tecnica, nel tuo incontro berlinese con lo scultore, pittore e scenografo tedesco Alexander Polzin emerge l’uso di una tecnica semplice che, sovrapponendo immagini, raggiunge una certa complessità e così muove verso l’astrazione, pur partendo dall’opposto, dalla materia. Come può, tutto ciò, riguardare la musica di Bach?

Nello sviluppo della sua tecnica pittorica, Polzin è partito proprio dal contrappunto bachiano: quattro linee musicali sovrapposte, ciascuna molto semplice; e ciò che genera la complessità, la forza e la bellezza del risultato finale è il governo del loro intreccio. Egli ha provato a realizzarlo nella pittura, sovrapponendo l’uno sull’altro quattro dipinti legati nei temi e nei colori e pensati in relazione tra loro. Quindi, ha raschiato uno o più strati con lo scalpellino per mostrare nei vari punti quello che emerge sugli altri: un’immagine complessa con strati che si influenzano a vicenda.

  • La scrittrice libanese di lingua francese Dominique Eddé ha definito Bach come colui che veramente «ti dà l’opportunità di essere il meglio di te stesso». In effetti la meraviglia di Bach, per la sua profondità sembra ricondurci a noi stessi, alla nostra parte migliore…

Dominique è una scrittrice dalla cultura e sensibilità straordinarie che ho invitato a partecipare con me a questo progetto per i riferimenti in tutti i suoi romanzi alla musica di Bach: magari un personaggio si siede e ascolta musica di Bach, oppure c’è un musicista, o da qualche parte compare sempre in sottofondo qualche pagina bachiana.

Per settimane si è chiusa in un’isola fuori da Istanbul dove abbiamo realizzato la conversazione, passando tutte le giornate con la musica di Bach con maggiore impegno di quanto non avesse mai fatto prima, cioè guardando la partitura, leggendo saggi e cercando di capire perché questa musica era stata così importante nella sua vita. Dopodiché ha formulato riflessioni meravigliose, molto personali: la musica di Bach si inserisce nell’anima, nella personalità, la cambia e la spinge a essere la versione migliore di sé.

Pur non essendo religiosa la Eddé ritiene che ascoltare Bach sia l’unica via per ascoltare la voce di Dio.

  • Bach è forse più di ogni altro musicista colui che trasmette il sentimento della divinità e della trascendenza, la grandezza siderale di un ente superiore. Lo spiegava Tibor Varga presso la sua Académie de Musique de Sion: Bach è la descrizione dell’universo, non dentro il cuore dell’uomo, ma dall’alto. E ciò rimanda anche a Glenn Gould, il cui lavoro intorno a Bach resta memorabile

Una sensazione difficile da esprimere quella della trascendenza divina, che a loro modo quasi tutti gli ospiti della trasmissione hanno condiviso. Ma Bach era una mente non soltanto musicale. La musica è l’arte nella quale ha espresso tutto il suo genio, tuttavia i suoi interessi erano ricchi e anche per questo ho voluto metterlo in dialogo con le altre arti. I grandi musicisti sono stati sempre immersi nella cultura del loro tempo, molto più di quanto lo siano oggi.

  • Indietro nel tempo, l’uomo dell’Umanesimo e del Rinascimento era artista che conosceva il latino, sapeva poetare, comporre, dipingere. Nell’età barocca il musicista era impregnato di filosofia, teatro, scienza, numerologia, esoterismo. Poi, Bach insegnava il latino ai suoi studenti a Lipsia…

È impossibile per un uomo solo conoscere nel dettaglio la quantità di conoscenza che l’umanità ha acquisito, tuttavia vi sono elementi profondi nella musica cui è difficile accedere per chi non abbia sviluppato un po’ di amore per la matematica, per la letteratura, per la pittura. Una conoscenza che interessa sempre di più soltanto agli specialisti del settore.

Pensiamo alla riflessione del regista russo Aleksandr Nikòlaevič Sokurov (altro ospite intervistato sull’Arte della Fuga, ndr) che sostiene che nessun regista di cinema, arte comunque giovane, è riuscito a realizzare ciò che Bach ha realizzato nella musica; nessun regista ha mai fatto sacrifici dedicandosi alla sua arte in maniera così profonda e geniale che Bach!

  • Sokurov indaga il senso del tempo nella musica di Bach. Fin dalla sua infanzia il regista sente la musica bachiana come il canto degli angeli e in seguito la utilizza nei suoi film

Nel film la musica è una sorta di contrappunto, tecnica ben nota ai musicisti ma poco o affatto conosciuta nel cinema. La melodia bachiana è come una voce di un’altra forma d’arte esistente di per sé.

  • Dunque la tua impresa è meritoria anche per aver diffuso tutto questo

Io spero che lo studente di architettura, ad esempio, ascoltando l’intervista con Frank Gehry, il quale nel progettare i suoi edifici ascolta sempre e soltanto musica di Bach e conduce i suoi studenti ai concerti, voglia avvicinarsi a Bach.

  • A proposito dell’architetto canadese, si parla spesso della composizione di pagine di Bach come ‘architetture musicali’. L’architettura, in quanto progettazione dello spazio è stata definita quale ‘arte utopica’: essa crea qualcosa che ancora non esiste. Analogamente, la musica non esiste se non nei segni sulla carta, finché si realizza nell’esecuzione, per svanire un attimo dopo… Eppure, tra un edificio costruito da Gehry e una pagina di Bach vi sono vettori comuni, strutture, elementi

Vi sono parallelismi diretti tra la musica e un edificio che devono sottostare a leggi fisiche inderogabili, dall’acustica del suono (l’onda sonora, la sua propagazione e ricezione all’orecchio), alla gravità (impossibile costruire un edificio volante). Gli armonici che si sviluppano dal basso verso l’alto sono qualcosa di simile a una costruzione che deve avere le fondamenta nelle regioni più basse che ne reggono il peso. In un accordo il basso è la nota fondamentale dell’armonia e sostiene la linea melodica. Entrambi sono formati da molte parti che devono collegarsi tra di loro per una funzione espressiva che non eluda le leggi fisiche ma riuscendo a trascenderle ci faccia sembrare padroni a un livello talmente alto da creare libertà.

“L’architettura è musica cristallizzata” secondo una definizione di Goethe. Con le leggi del contrappunto a Bach è bastato prendere pochi elementi simili tra loro, capovolti o permutati, per erigere un edificio enorme come l’Arte della Fuga, opera che dura un’ora e mezza, in un organismo teso, coerente, ogni parte del quale ti spinge ad ascoltare quella successiva e ti avvolge come in un mondo unico in divenire. Ciò affascina molto un architetto dall’ingegno di Gehry, che nell’uso della simmetria e della forma di Bach vede la capacità di creare qualcosa di costruito eppure all’apparenza organico e spontaneo.

  • Bach e la matematica: il rapporto tra musica e matematica è antichissimo, basti pensare a Pitagora. Il tuo incontro con la matematica turca dell’Università del Bosforo?

Ho incontrato due matematici: Betül Tanbay e, più avanti, Marcus du Sautoy, professore inglese di Oxford. Si parla spesso della somiglianza tra la musica e la matematica e soprattutto di Bach e la matematica, ma questo paragone finisce spesso sui soliti concetti generici, i rapporti aurei, le simmetrie. Certo ne abbiamo parlato poiché esistono, in quanto criteri estetici che derivano da strumenti che possono essere descritti tramite il linguaggio della matematica. Sono tre millenni che conosciamo il rapporto della sezione aurea e la matematica è stata utile per analizzarne le proprietà, osservarne la ricorrenza, analizzare i numeri irrazionali ecc.

Chi ama la matematica rimane incantato dal fascino dei teoremi, dai fenomeni dell’universo che si possono ridurre a una serie di due, tre proporzioni aritmetiche, dalla magia con cui i rami della matematica che sono parsi separati per millenni all’improvviso si scoprono collegati in maniera semplice e diretta. Questi aspetti fanno della matematica un’arte, per chi la ama e la studia.

Dunque l’arte e la matematica rivelano una somiglianza di fondo, ciascuna quale linguaggio di comprensione e di bellezza. E la loro somiglianza non risiede negli aspetti tecnici bensì nei mezzi poetici. Il dato tecnico infatti è più facile da individuare, comunicare, analizzare ma la bellezza del rapporto tra le arti e la matematica sta nel fascino, nella poetica, nell’eleganza, nel fatto che teoremi e dimostrazioni scientifiche non hanno meno bellezza di un’opera importante di Bach o di un dipinto di Michelangelo.

  • La matematica affascina per la sua potenza straordinaria. Attraverso di essa traduciamo la realtà, è una chiave di lettura del mondo, un miracolo… (mi sia consentito, sono figlia di un matematico)

È il linguaggio più potente di decodificazione dell’universo che siamo riusciti ad esplorare ed elaborare. Io sono fratello di un matematico e per un certo periodo ho rischiato di scegliere questa via. È la disciplina che ho amato di più negli studi canonici, dopodiché ho amato la musica più della matematica!

Con Betül abbiamo parlato della partitura musicale, in quanto essa indica tutto ciò che è possibile razionalizzare: la divisione di una battuta in più pulsazioni, l’andamento ritmico espresso in frazioni, che non a caso sono numeri razionali, un tempo metronomico e tutte le dinamiche di massima. Ma di fatto, ciò che davvero conta nell’opera musicale sono le piccole deviazioni, tali da varcare il campo del trascendente: una particolare inflessione, un piccolo ‘rubato’ è impossibile quantificarli con i valori musicali numerici; essi restano nell’ambito dei numeri trascendenti che sono i numeri irrazionali, numeri che non derivano da frazioni, tipo la costante ‘pi greco’, per intenderci. Bach ha raggiunto l’infinito usando un numero razionale di note.

– Tutto ciò è straordinario. Se la matematica è contenuta nella musica di Bach, che è tra le più alte  rivelazioni della trascendenza, possiamo concludere che attraverso la musica e la matematica si raggiunga il sublime…

Credo anch’io. Le esperienze più belle della mia vita sono legate a questo, all’incontro di qualcosa di fisico e limitato con la percezione vertiginosa del sublime.

  • Circa la polifonia bachiana colpisce la visione affettuosa e umana del regista d’opera americano Peter Sellars, il quale sostiene: «quando si impiegano diverse voci intorno a un problema è come far parte di una conversazione che pone in dialogo e fa andare avanti il mondo». Una modalità di comunicazione utile a far migliorare, dunque. E in effetti la relazione è una possibilità di scambio, di crescita, di progresso attraverso il confronto, il dialogo

Sellars rifiuta in maniera categorica la visione astratta della musica di Bach, incentrata sulla speculazione teorica. Partendo invece dall’esperienza umana, da lui stesso maturata attraverso le Cantate e le Passioni di Bach eseguite all’interno di una comunità religiosa come la Chiesa di Saint Emmanuel a Boston, egli riconosce che questa musica unisce una comunità, legandola intorno a un tema e porta a ciascuna persona bellezza, commozione, speranza, tenerezza. Egli dà un senso quasi missionario a questa musica. Il musicista che la esegue non la suona per sé, o per puro intellettualismo, ma per le persone che ha di fronte e per ciò che può portare nei loro cuori.

Insiste molto sull’importanza di suonare a memoria, prassi che sta passando di moda, non per esibire capacità di bravura ma perché, mentre si suona liberi dalla dipendenza dal testo, si può veramente offrire la musica a chi sta ascoltando, con un grado di immedesimazione, di empatia, di dono che diventa più alto.

«Realizzando la coreografia delle Passioni, quando c’è un’aria in cui il soprano deve cantare per l’oboista e l’oboista deve suonare per il soprano, io li porto avanti, li faccio suonare a memoria guardandosi negli occhi. Come potrebbero farlo in modo spontaneo se ciascuno è da una parte della sala e sta guardando il suo foglio di carta?» Ecco, qui Sellars non intende compiere un intervento estetico da regista ma sbloccare qualcosa di importante nei musicisti.

Questa visione umana e originale di Peter Sellars non sorprende troppo poiché sembra riverberare direttamente dalla trascendenza della musica di Bach, nella quale echeggiano incessantemente umanità e bontà, quali risvolti ulteriori che convivono col senso del divino e del sublime. Una realtà infinitamente ricca e tanto universale da comprendere tutti gli aspetti che ciascuna delle persone che hai intervistato ha illustrato secondo la propria competenza e il proprio operato. In conclusione, sei riuscito a realizzare questo ambizioso progetto con l’ammirazione di molti, potendo maturare su di esso uno sguardo complessivo. Sei consapevole di aver elargito al pubblico un ventaglio di idee più che originali?

I pareri sul mio lavoro li lascio agli altri, i miei servono a me per orientare il futuro ma non sono neanche così importanti. Nel tempo che ho, con le abilità che possiedo e con i mezzi che il mondo mi fornisce ogni giorno cerco di realizzare ciò che per me è bello e interessante, sia nel repertorio che affronto in concerto, sia in questo progetto, che è il primo esperimento di un tipo diverso dagli incontri che propongo ai giovani parlando di persona di musica, di storia della musica, di arte. Sono cosciente di aver fatto del mio meglio e posso solo tentare di andare avanti e cercare di migliorarmi. Sento che non si finisce mai di studiare un’opera come l’Arte della Fuga; neppure Bach ha finito di comporla, figuriamoci!

Forse un’opera sola potrebbe bastare per un’intera vita di ricerca e di amore. Ho dedicato all’Arte della Fuga molte attenzioni e ora sento di aver raggiunto un punto fermo nel mio rapporto con essa. È giunto il momento di lasciarla, per farvi ritorno quando sarà opportuno. Il mio prossimo impegno importante intorno alla musica di Bach è con Il Clavicembalo ben temperato.

-Un altro monumento

Non so tra quanti anni ma prima o poi lo vedrete apparire…

E te ne ringraziamo fin da ora

Prossimo progetto, le residenze internazionali di un mese, tema collegato a questo ma diverso. Lo stesso desiderio che mi ha fatto realizzare le conversazioni sulla musica di Bach mi ha portato a pensare che quando tengo un concerto in una città arrivo, suono e scappo senza realizzare una comunicazione profonda come meriterebbe la comunità e anche io stesso. Nel frequentare i suoi luoghi, i suoi artisti, la sua cultura più a lungo se ne può esserne toccati in maniera più profonda.

Il pensiero di fondo è maturato sempre durante la pandemia, nel silenzio. Da febbraio 2025 in sette città internazionali importanti suonerò più a lungo, per ragazzi dei licei e delle università, altresì negli ospedali; insegnerò ai giovani pianisti del luogo, dedicando tutto ciò che posso offrire alla comunità.

-Nell’accomiatarci: Filippo Gorini e Bach; qual è oggi il tuo rapporto con la sua musica?

Non è stato amore a prima vista. A 12, 13 anni amavo altri compositori e lo studiavo piuttosto malvolentieri fino a scoprire invece che più la studiavo e più me ne innamoravo. Un percorso dipeso dalla crescita, da riflessioni, dall’ascolto di concerti, dal lavoro con maestri importanti.

Il rischio in Bach è di limitarsi a un esercizio pianistico. Autore notoriamente temuto ai concorsi, nessuno sa come va suonato, è pericoloso. Nello studio in conservatorio ci si riduce a apprenderne i parametri come l’andare a tempo, la modalità degli abbellimenti, a non usare le dinamiche perché il clavicembalo non ne aveva. Una serie di prescrizioni di cui non si dà una ragione musicale, mentre l’epoca barocca era forse quella con maggiore flessibilità dell’andamento temporale, rispetto ad altre. Le persone che hanno studiato maggiormente la filologia hanno un grado di libertà maggiore, hanno superato ed effettivamente riconosciuto che era un’epoca con un grado di libertà interpretativa molto alto.  Dunque l’interpretazione non deve essere l’applicazione di regole, che pure vanno conosciute e interiorizzate; deve diventare una ricerca espressiva.

Questo progetto è stato una fonte per me di idee di approfondimento, di studio, di familiarità. Il rapporto con un compositore si costruisce stando tanto tempo assieme a lui e alla sua musica: la frequentazione è qualcosa che genio, talento o trattati non possono sostituire. Citando ancora una volta la scrittrice Dominique Eddé, la musica di Bach penetra a una profondità che trasforma l’animo all’interno. Questo è accaduto a me e mi auguro che continui ad accadermi nel prosieguo della vita con lo stesso desiderio che mi ha portato a realizzare le conversazioni per il pubblico sulla sua musica.

-Ti ringrazio di questa intervista. A beneficio dell’umanità hai reso più accessibile il tuo lavoro intorno a Bach in tutta la sua meraviglia

È stata una conversazione molto bella per me. Questo lavoro mi ha richiesto tanto tempo e sentire che qualcuno lo sta recependo con la profondità che speravo, e con la passione e l’amore che mi hanno toccato, mi dà una gioia che fatico ad esprimere.

  • Ne parleremo ancora. Complimenti!