Dal 4 luglio: ritratti di senza dimora in mostra a Casa Vuota. A Roma LA DOLCE VITA di Michele Bellini (fino al 22 settembre)

ROMA- Dare, attraverso la pittura, una dimora a chi una dimora non ce l’ha. È questa la sfida che si propone la mostra La dolce vita, la personale di Michele Bellini a Casa Vuota a Roma (via Maia 12) curata da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, che si inaugura giovedì 4 luglio 2024 dalle ore 18:30 alle 21 e si può visitare fino al 22 settembre 2024, prenotando un appuntamento ai numeri 3928918793 o 3284615638 oppure all’email vuotacasa@gmail.com. L’esposizione presenta un ciclo organico di lavori pittorici realizzati nell’ultimo anno, profondo, sentito e dai contenuti originali, che veste su misura le pieghe più intime del corpo di Casa Vuota. Al centro l’artista pone sei ritratti a grandezza naturale, oli su tela, che vengono accompagnati da altri dipinti, bozzetti e disegni a carboncino.

«I protagonisti dei ritratti – spiegano i curatori Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo – si chiamano Massimo, Vittoria, Angelina, Staneva, Leonardo e Paolo e sono sei tra le tante persone che vivono sotto il cielo di Roma e che le circostanze della vita hanno portato a non avere un domicilio stabile. Michele Bellini fa la loro conoscenza attraverso Binario95, un polo sociale di accoglienza per persone prive di dimora con il quale ha iniziato una collaborazione, organizzando dei laboratori di pittura con la mediazione degli operatori del centro. Nei laboratori, guardati dapprima con qualche diffidenza e poi via via sempre più partecipati, la pittura diventa uno strumento di comunicazione e di scambio. Lungo il percorso di conoscenza reciproca tra il pittore e i suoi studenti, la fiducia e la complicità diventano così profonde da portare gli studenti a diventare modelli e a posare per Casa Vuota, offrendo il loro corpo e le loro stesse vite – per loro le cose più preziose, tutto quello che hanno – allo sguardo indiscreto della pittura e trovando così, idealmente, il loro posto nello spazio sublimato di una mostra e nel tempo non enumerabile dell’esperienza estetica. E qui altri sguardi, quelli dei fruitori, li incontreranno, attivando nuove relazioni, nuovi incontri, nuovi dialoghi e nuovi spostamenti di senso, mettendo in discussione soggetti, oggetti, spazi e modi dei discorsi possibili intorno all’abitare, all’uso dei corpi, all’esercizio della libertà e all’autodeterminazione, a quello che chiamiamo casa e alla definizione di limiti, confini e orizzonti».

«Massimo, Vittoria, Angelina, Staneva, Leonardo e Paolo – scrivono Del Re e de Nichilo – trovano a Casa Vuota, con la pittura di Michele Bellini, la casa che non hanno. Bellini li chiama pittoricamente per nome, si immerge nella loro vita – una dolce vita nonostante tutto – e li porta ad abitare con sé in quella grande casa che è la pittura stessa, usando le stanze di Casa Vuota come pretesto per scrivere un nuovo capitolo del suo progetto artistico dedicato alla vita, raccontata attraverso la materia e i volti della vita stessa, già iniziato con il ciclo di dipinti intitolato Gente in metropolitana da lui portato avanti dal 2014 al 2018, che nasceva da scatti fotografici rubati a ignari viaggiatori. È una pittura che manifesta una vocazione per i temi sociali, che si guarda intorno e non si limita alla contemplazione di circoscritto panorama autoreferenziale. L’attenzione che ha per gli altri, il desiderio di mettersi in ascolto e di farsi portatore delle vite altrui si traduce, per Bellini, nella pratica del ritratto. I suoi sono ritratti anche quando non sono ritratti, anche quando l’oggetto della pittura è una stanza dell’associazione in cui avvengono le lezioni o una natura morta, perché Michele Bellini è profondamente vocato alla pratica del ritratto e ha raffinato in esso tutti i modi più persuasivi e peculiari della sua espressione».

«Il titolo felliniano rende palese l’omaggio a Roma, ai suoi abitanti, alle sue strade e alle sue storie. Di questa Roma sospesa tra magnificenza e decadenza Michele Bellini è perdutamente innamorato, così come è innamorato della pittura e dei pittori, con una particolare predilezione per il realismo e la ritrattistica sviluppata a cavallo tra XVII e XIX secolo, di cui è raffinato conoscitore e consapevole cultore. La pittura di Bellini si nutre di pittura e nelle sue opere si colgono riferimenti espliciti o inconsci a quadri del passato che ha ammirato e studiato e che conosce così bene da fare propri con un gesto non citazionistico, ma vivificante, sorgivo, medianico. In virtù della sua poderosamemoria visiva e artistica, a Casa Vuota riecheggiano nei ritratti di Bellini il Menippo di Diego Velázquez, la Carmencitadi John Singer Sargent, il Gilles di Antoine Watteau, la Giuditta di Gustav Klimt e ancora, nell’unica scena di interno esposta, intitolata L’accoglienza, un sussurro che parla di Angelo Morbelli e di Telemaco Signorini. A volte Michele Bellini ritrova nei suoi modelli le pose dei capolavori che lo ispirano, altre volte il processo di costruzione dell’immagine semplicemente si affida, per parlare, alla lingua che lui meglio conosce, ossia la pittura stessa. In ogni caso, non c’è finzione nel suo offrirsi attraverso la materia viva della pittura, ma una profonda e rispettosa onestà».

Dichiara Michele Bellini: «È stato un lavoro davvero intenso, sotto ogni punto di vista, e mi ha segnato e formato come nessuna esperienza simile in passato. La serie di lavori che ho realizzato per Casa Vuota mi ha permesso di comprendere quanto necessari (nonché contradditori) siano l’identificazione nei temi che un artista vuole narrare e il distacco da essi. Mi sto ancora chiedendo cosa ho fatto, come è andata e che cosa avessi da dire su uno dei soggetti più trattati nella storia dell’arte. Le domande sono maggiori delle risposte, ma per me questo progetto è importante perché ho sempre sentito un’affezione verso chi ha meno da offrire e ho scelto di ritrarre queste persone nel modo in cui di solito la pittura che ho amato ritraeva la nobiltà. Per anni, passando per via Marsala, mi capitava di vedere file di persone in attesa davanti ai cancelli di Binario95 e mi sono sempre chiesto come avrei potuto avvicinarmi a loro. Mi attira l’umano, l’umanità e la mia idea è di nobilitare le persone attraverso ritratto, dare loro dignità attraverso una pittura “onesta”. A questa gente bisognosa la pittura che ho portato è un gesto paradossale, come paradossale è il titolo della mostra. La pittura non è un fine, ma un terreno comune che mi ha permesso di confrontarmi con loro e di costruire un rapporto. E questa relazione io la restituisco nelle forme della pittura, mostrando la realtà che ho incontrato con onestà. Viste tutte insieme, le opere della mostra rappresentano la vita e se c’è una cosa che voglio raccontare con la mia pittura è la vita, descrivere la vita attraverso queste facce e queste persone. Mi sono identificato nella loro condizione di smarrimento che avverto come familiare, nell’impossibilità di riuscire a trovare un posto nel mondo. Io trovo il mio posto solo quando sono davanti al cavalletto. E tutti noi insieme lo troviamo oggi a Casa Vuota».

Michele Bellini (www.michelebellini.com) è nato a Roma nel 1990. Ha studiato al Liceo Artistico di via Ripetta e alla Scuola Romana dei Fumetti. Si è poi perfezionato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma e alla Florence Academy of Art di Firenze. Tra le mostre più significative nelle quali ha esposto i suoi dipinti, si segnalano nel 2021 il Premio Fausto Pirandello al Civico museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado, nel 2019 la personale Roma alla Galleria Art Gap di Roma, nel 2018 Presenze a Palazzo Venezia a Roma e Ieri oggi domani alle Scuderie Aldobrandini di Frascati, nel 2017 Komask Masters Salon Painting alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa in Belgio e Il disegno dal vero come pratica storica e sapere contemporaneo. L’Accademia à l’Académie al Museo Pietro Canonica di Roma, nel 2016 Cutting Edge al Museo Nazionale delle Arti di Cluj-Napoca in Romania e Dignity through art alMuseo dell’Opera del Duomo di Firenze.

 




Bassano Romano, storie, testimonianze, emozioni all’insegna de “La dolce vita” e di Federico Fellini

BASSANO ROMANO ( Viterbo) – Riceviamo dall’Associazione Bassano Partecipa e pubblichiamo: “È stato un fine settimana intenso. Ricco di emozioni, testimonianze, ricordi, nel segno di Federico Fellini nel centro della Bassa Tuscia. 

Grazie alla iniziativa dell’associazione “Bassano Partecipa”, che ha ricevuto il patrocinio del Comitato nazionale per il centenario della nascita del grande regista, e l’autorizzazione della Direzione regionale dei musei del Lazio che ha concesso l’utilizzo del Salone dei Cesari del Palazzo Giustiniani, per due giorni il centro storico del paese ha rivissuto le atmosfere e le suggestioni di quando quei luoghi vennero utilizzati per girare parte delle riprese de La Dolce Vita, nel 1960. 

Un’atmosfera che si è snodata nelle vie del cuore antico di Bassano, con la passeggiata racconto, condotta da Antonello Ricci, nei luoghi del set felliniano. 

I ricordi biografici su Marcello Mastroianni, su Anita Ekberg, su Nino Rota, si sono intrecciati con le testimonianze dirette di bassanesi che ricordavano piccoli e dettagliati episodi di quei giorni, sullo sfondo di un’Italia che cambiava, dove anche la provincia e i borghi, con i loro ritmi, lasciavano il campo alle trasformazioni indotte dalla società dei consumi. 

E poi le presentazioni di libri: il sabato, “Fellini inedito” di Jonathan Giustini, sul ritrovamento dell’archivio fotografico utilizzato da Fellini ne Le notti di Cabiria, e, la domenica, “Una donna rimasta sconosciuta”, sull’intreccio tra la figura femminile nell’universo felliniano e alcuni episodi storici locali, da cui trae ispirazione il libro. Specie la presentazione di questo ultimo libro è stato anche l’ occasione, grazie a preziose testimonianze, di riprendere ancora una volta il tema della lotta contro la violenza sulle donne. 

La due giorni felliniana è stata, insomma, una grande occasione, attraverso la quale Bassano e il suo centro storico hanno mostrato il loro volto migliore, tra echi antichi, vociare diffuso e profumi di cucinato. 

Un viaggio onirico tra cinema e storia, tra realtà e finzione, tra identità e nostalgia, che ha suscitato grandi apprezzamenti tra i molti “forestieri” presenti.

Unico neo, l’assenza del Comune, pur invitato, in ogni sua forma, segno evidente di una sottovalutazione colpevole non tanto della nostra iniziativa quanto della possibilità di utilizzare il sessantesimo anniversario delle riprese de La Dolce Vita a Bassano come veicolo promozionale per il nostro territorio. 

A questo riguardo, ci piacerebbe che il Comune si facesse promotore dell’opposizione di una cartellonistica adeguata, in grado di ricordare che, nel 1960, a Bassano di Sutri, tra la piazza, il Palazzo e la Casina di Caccia, si girarono le riprese di uno dei capolavori del cinema mondiale”.

 




“La dolce vita” a Bassano Romano, con Antonello Ricci omaggio a Federico Fellini

di MARINA CIANFARINI –

BASSANO ROMANO ( Viterbo) – Sono passati sessanta anni da quando i luoghi del centro storico di Bassano furono scelti da Federico Fellini per il set de “La dolce vita”, il capolavoro del regista romagnolo girato, in parte, a Bassano di Sutri, tra la piazza, il palazzo Giustiniani Odescalchi e la casina di caccia all’interno del parco.
Uno snodo tra testimonianze ed echi che risuonano nel borgo incastonato tra i laghi di Bracciano e Vico, raccontati dal narratore di comunità Antonello Ricci, questa mattina, nell’ambito di un’iniziativa voluta dall’associazione “Bassano Partecipa”.
Un nutrito gruppo ha partecipato alla passeggiata-racconto dedicata al regista nato 100 anni fa, Federico Fellini. Un centenario soffocato dal Covid. Ma non completamente. Le mascherine hanno velato il viso, ma non il desiderio di partecipazione e coesione complice il tiepido sole d’ottobre.
Partenza della passeggiata da piazza Umberto I (il set dell’arrivo a Bassano di Sutri, ne “La dolce vita”), breve visita al palazzo, poi Maria Giustiniani, per arrivare alla Pujarella (cuore del centro storico) e infine al borgo san Filippo.
Ad affiancare Antonello Ricci lungo il flusso di racconti, l’amico e collega di piazza Alessandro Tozzi che ha donato al pubblico alcune proverbiali “figurine”: brevi icastici omaggi a Ekberg, Mastroianni, Flaiano, Nino Rota nonché al mito di via Veneto. Ampio spazio concesso ai fulminanti aforismi di Flaiano, lucido-disincantato controcanto alle patinature della dolce vita romana anni ’50.

“Dove vai?”
“A Bassano di Sutri, in un castello del mio fidanzato…”
“Perché non mi ci porti?”
“Che paese è questo? Che paese è, scusi?”
“Bassano di Sutri…”

Così Marcello Rubini, protagonista del capolavoro felliniano “La dolce vita”, nel momento in cui giunse nella terra etrusca di Bassano, in un paese di pietra e tradizioni, borgo sinuoso adagiato nel cuore della Tuscia. La scena-capolavoro che restituisce lo stupefacente livello visionario raggiunto dal Fellini regista di sogni-e-invisibile.
“Una simbiosi di strada Cassia e nastri ondulati – racconta Antonello Ricci -, che Marcello Mastroianni percorse sulla linea del grande romanzo popolare. Storia che parte da via Veneto, interamente ricostruita in studio, suggello di una Roma che stava cambiando in una metamorfosi graduale ma che, sul set, doveva restare fedele a quella città straordinaria del “Marchese del Grillo”.
Ed ecco il ritorno all’aria di provincia. Viterbo e i paesi che ne incorniciavano le mura avevano finito per ricordare a Fellini, a un tempo, la perduta Rimini della sua infanzia e giovinezza, ma anche la perduta Roma ove gli era capitato di sbarcare fresco dei suoi vent’anni. Il paese che Pier Paolo Pasolini, in un suo celebre passo, definì “meraviglioso”, perché “la vita era come la si era conosciuta da bambini. Con quelle apparenze dotate del dono dell’eternità”. Il Fellini regista di sogni e dell’invisibile. Il legame reale-trascendente per il paessaggio.
Ad accogliere Mastroianni nella villa Giustiniani-Odescalchi ci sono i grandi busti in facciata che sembrano fare da custodi al palazzo, automi marmorei e magmatici della memoria. Il palazzo e tutta la villa si trasformavano allora in un teatro di posa, luogo perfetto per il film visto il suo fascino decadente.
A ricordare quei momenti, vividi nella memoria, gli uomini e le donne di ieri che fanno dell’oggi il campo degli anedotti e dei ricordi in salvo. Vi è Licia Benedetti e l’appellativo che voci andate attribuivano ad Anita Ekberg, la “Canipaccia” per chi, a pochi respiri dal Palazzo, la vedeva giungere, a riprese terminate.
“Gratiano ‘o barbiere” e la sua bottega di fatiche e memorie, ora luogo a riposo. L’arrivo di Marcello Mastroianni e il rituale della barba al prezzo di 500 lire, in un’aura di poesia che ancora risuona di fianco al palazzo.
Il sipario del passeggiata-racconto scende al borgo San Filippo, teatrale museo a cielo aperto, ove Antonello Ricci pone un punto alle sue parole. Non finale. Il capoverso successivo è in corso di scrittura, il passato ne è l’inchiostro.

Domenica 11 ottobre sarà la compagnia Favl di Viterbo a rappresentare presso la Casa delle culture lo spettacolo teatrale “La città degli acrobati”, che ripercorrerà le atmosfere circensi, proprie del simbolismo felliniano, con riferimento specifico al film “La strada”.
La giornata si concluderà con la presentazione del libro “Una donna rimasta sconosciuta”; il volume, curato da Raimondo Raimondi, sarà oggetto di una discussione su linguaggio e violenza di genere, che a fianco del curatore vedrà la partecipazione di Matteo Franceschini, storico dell’arte.
Un calendario di qualità dedicato a Federico Fellini e al suo rapporto con Bassano Romano e con la Tuscia, reso possibile anche grazie ai patrocini della Fondazione Fellini, dell’Auser Tuscia, della Cooperativa Agatos, della Compagnia Teatro amatoriale Favl.