Taglio dei pini in viale Mediterraneo, la Regione Lazio dà ragione al comune di Tarquinia

TARQUINIA (Viterbo)- La direzione Urbanistica e politiche abitative, pianificazione territoriale e politiche del mare sull’esposto della Soprintendenza: “L’estirpazione è stata effettivamente motivata da esigenze di sicurezza stradale e incolumità pubblica”.
“Siamo soddisfatti, ma non poteva andare in altro modo. Eravamo certi di aver rispettato tutte le procedure”. Con queste parole il sindaco Alessandro Giulivi commenta la nota della regione Lazio sul taglio dei pini in viale Mediterraneo, che dà ragione al comune di Tarquinia.

Il candidato presidente della provincia Alessandro Giulivi

La segnalazione di assenza delle necessarie autorizzazioni, tramite esposto, era pervenuta alla direzione regionale Urbanistica e politiche abitative, pianificazione territoriale e politiche del mare dalla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale.
“Dall’esame della documentazione pervenuta – si legge nel documento della regione Lazio -, si è potuto riscontrare che l’estirpazione dei pini sia stata effettivamente motivata da esigenze di sicurezza stradale e incolumità pubblica e che, già nel 2022, la prefettura di Viterbo, sulla base di un sopralluogo del comando provinciale dei vigili del fuoco di Viterbo, aveva espressamente sollecitato l’amministrazione comunale all’adozione di iniziative specifiche ed eventuali provvedimenti in relazione alla pericolosità degli alberi in viale Mediterraneo”.
Per il comune di Tarquinia, dunque, nessun provvedimento e nessuna sanzione pecuniaria visto che le operazioni sono state effettuate nel totale rispetto delle normative.
“Alla luce di quanto accaduto – conclude il documento della regione Lazio -, fatte salve eventuali autonome valutazioni della Soprintendenza formulate nell’esposto presentato, si ritiene che non sussistano motivi di rilevante interesse pubblico connessi con la tutela dei luoghi che giustifichino provvedimenti di questa direzione sugli atti già adottati”.




Mediterraneo: la Pianificazione degli Stati UE ne mette a rischio il futuro ecologico ed economico

PUBBLICATO IL NUOVO RAPPORTO DEL WWF

I piani marittimi nazionali sono disallineati sia all’interno che all’esterno dei confini, non tengono conto dei cambiamenti climatici e non sono in grado di raggiungere gli obiettivi in materia di energie rinnovabili e di protezione dell’ambiente marino.

In aprile 2021, il WWF ha pubblicato il documento ‘Ecosystem-Based Maritime Spatial Planning in Europe and how to assess it’ (MSP-tool) per valutare se e come i paesi dell’UE avessero implementato l’approccio ecosistemico all’interno dei loro piani PSM (Pianificazione dello Spazio Marittimo). Dopo aver analizzato il Mar Baltico, il Mare del Nord, e il Nord-Est Atlantico, il WWF pubblica un nuovo report dove analizza anche le performance dei paesi europei nel Mediterraneo.

La valutazione evidenzia come i paesi UE del Mediterraneo siano in forte ritardo nell’applicazione dell’approccio ecosistemico ai propri piani di gestione dello spazio marittimo. Inoltre, 4 paesi su 8 (Italia, Grecia, Cipro e Croazia) non hanno potuto essere valutati in quanto non hanno ancora attuato i piani per le loro aree marittime e sono oggetto di procedure di infrazione da parte della Commissione Europea per la mancata preparazione di questi piani, la cui scadenza legale era prevista per il 31 marzo 2021.

Tra gli Stati membri valutati dal WWF, la Slovenia ha ottenuto il punteggio più alto, ma solo con un risultato parziale (del 56%) nell’applicazione dell’approccio ecosistemico alla gestione del proprio spazio marittimo. Se i piani incompleti fossero stati inclusi nell’analisi con un punteggio dello 0% (dato che non sono stati attuati), il punteggio medio regionale per l’approccio ecosistemico alla PSM sarebbe sceso dal 45% al 22%.

Il rapporto evidenzia che nessuno degli Stati membri del Mediterraneo sta facendo progressi sufficienti per raggiungere l’obiettivo del Green Deal Europeo di aumentare la quota di energia rinnovabile al 40%entro il 2030. Ciò richiederà ulteriori sforzi per pianificare adeguatamente i siti per lo sviluppo di energia rinnovabile offshore, rispettando gli standard ambientali e la legislazione dell’UE, e bilanciando il progresso dell’energia onshore. Purtroppo, il rapporto del WWF sottolinea che l’Italia, insieme a Cipro, sta ancora destinando spazi per l’estrazione di combustibili fossili, mentre ritarda l’assegnazione di aree idonee per lo sviluppo dell’energia eolica offshore.

Inoltre, nessun piano nazionale ha affrontato con successo le incertezze spaziali e temporali dei cambiamenti climatici, nonostante la vulnerabilità della regione all’innalzamento del livello del mare e all’aumento della temperatura.

Una categoria della valutazione in cui la regione (bacino Mediterraneo) ha ottenuto un punteggio particolarmente basso (media del 12,5%) è la cooperazione transfrontaliera per una pianificazione, un monitoraggio e un’applicazione efficaci. Senza di essa, qualsiasi sforzo nazionale per raggiungere il buono stato ambientale del Mar Mediterraneo non avrà successo. Una buona cooperazione è particolarmente importante per garantire che vengano salvaguardati, ad esempio, i corridoi di migrazione dei mammiferi marini, attualmente sanciti dal RepowerEU, affinché siano effettivamente rispettati, sia a livello nazionale, sia regionale.

Inoltre, la mancanza di partecipazione pubblica nel processo di pianificazione è considerata un grave errore, soprattutto in una regione che dipende largamente dalle piccole imprese, trascurando importanti stakeholder come i pescatori artigianali, che rappresentano ben l’82% della flotta mediterranea dell’UE.

Il WWF chiede l’istituzione di un gruppo di lavoro regionale per promuovere un approccio basato sugli ecosistemi nella pianificazione dello spazio marittimo, al fine di affrontare la crisi climatica e della biodiversità e proteggere i mezzi di sussistenza marittimi per le generazioni future.

 




Il Liceo Scientifico di Tuscania esplora le praterie sommerse del Mediterraneo

TUSCANIA ( Viterbo) – “Le praterie sommerse del Mediterraneo”, questo è l’argomento dell’ultimo incontro, conclusivo delle quattro giornate di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) che ha effettuato la classe quarta del Liceo Scientifico “G. Galilei” di Tuscania, accompagnata dalle prof.sse Laura Giannetti e Monica Algaria.

Il percorso si è svolto presso il Dipartimento di Ecologia e Biologia Marina dell’Università degli Studi della Tuscia con sede a Civitavecchia. Relatori il Prof. Simone Bonamanno, coadiuvato da Nicola Madonia e Andrea Terribili, la Dott.ssa Piermattei Viviana, coadiuvata da  Fabrizio Varini e il Dott. Sergio Scanu e Andrea Piazzola. Erano inoltre presenti le borsiste: Arianna Resnati ed Elena Scagnoli.

Gli argomenti trattati hanno riguardato lo studio del mare con metodologie tradizionali e avanguardie tecnologiche (come si utilizza il ROV, lo strumento subacqueo per la rilevazione dei fondali marini); l’impatto antropico sull’ambiente marino costiero dell’inquinamento chimico e marino; la modellistica numerica come strumento di supporto per la tutela dell’ambiente marino e della salute pubblica; la scoperta delle praterie del Mediterraneo con il campionamento di organismi marini animali e vegetali; osservazione allo stereomicroscopio; attività di lepidocronologia con campioni di Posidonia Oceanica.

Il coinvolgimento degli studenti nel percorso è stato totale e ha suscitato entusiasmo e motivazione nell’apprendere in pratica ciò che solitamente si studia in classe e sui libri.

Si ringrazia il Dipartimento di Ecologia e Biologia Marina dell’UNITUS per la disponibilità ad avvicinare i giovani alle tematiche biologiche ed ambientali.




Al Grand Hotel Miramare il convegno dal titolo “Il Mediterraneo quale veicolo per l’internazionalizzazione d’impresa”

Uno sguardo rivolto all’altra sponda del Mediterraneo, con una internazionalizzazione oramai necessaria per quelli che osservano lo stesso mare, ma anche le potenzialità del golfo di Gaeta sotto ogni punto di vista. Una giornata intensa al Med Blue Economy di Formia, con diversi seminari in grado di toccare i molteplici aspetti che interessano l’economia del mare.
Al Grand Hotel Miramare il convegno dal titolo “Il Mediterraneo quale veicolo per l’internazionalizzazione d’impresa”. A portare i suoi saluti il sindaco di Formia Gianluca Taddeo ed il vicepresidente del Consorzio Industriale del Lazio, Salvatore Forte.
«Questo è un appuntamento importante, – ha commentato il sindaco – perché ci consente di accendere i riflettori sulla strategicità del Mediterraneo, che rappresenta il veicolo per l’internazionalizzazione delle nostre imprese. Il Med Blue Economy che si sta svolgendo a Formia deve essere vissuto come un punto d’incontro e d’interesse non solo per la nostra città, ma per l’intero comprensorio».
Gli ha fatto eco il vicepresidente Forte. «Con il Med Blue Economy la città è una vetrina a disposizione dell’intero territorio. Abbiamo creato un format che permette l’incontro tra molte realtà differenti. Questo è un modello che vogliamo replicare, che possiamo replicare, perché “Med blue economy” rappresenta uno strumento per le imprese verso l’internazionalizzazione».
Particolarmente interessante l’intervento l’intervento presidente del Cise e commissario straordinario Zes Campania e Zes Calabria, Giosy Romano. «Il Mediterraneo crediamo possa essere opportunità di sviluppo per le Aziende italiane e sempre più centrale nell’economia dell’Europa, da anni ormai la Confederazione Italiana dello Sviluppo Economico è impegnata per promuovere e favorire relazioni tra le imprese del sud e le nazioni che si affacciano sul nostro mare. Il Med Blue Economy ha consolidato la possibilità di nuove relazioni tra i paesi del Mediterraneo rafforzando la consapevolezza che dal mare e con il mare potranno arrivare nuove opportunità di sviluppo per il Mezzogiorno».
Insieme a lui il commissario Zes della Sicilia Occidentale, Carlo Amenta, che ha puntato il dito sul Mediterraneo come veicolo per l’internazionalizzazione delle imprese. «Nonostante le difficoltà, stanno avvenendo una serie di processi di ristrutturazione che riguardano gli spostamenti di imprese e delle catene del valore che fanno sì che il Mediterraneo, e quindi tutte quelle regioni del sud che si affacciano su esso, possano davvero sfruttarne le opportunità ed essere protagonisti. Come sempre, nei momenti difficili ci sono vincitori e vinti e noi speriamo che le Zes siano i vincitori. In particolare la Sicilia è sempre stata il centro del Mediterraneo e speriamo davvero che adesso lo diventi anche dal punto di vista economico».
Molti gli interventi davvero interessanti, da parte di tutti gli ospiti presenti all’evento. Un momento di grande confronto internazionale con Nejia Ben Hellal, presidente dell’Associazione tunisina Unft; Nicola Graziano, magistrato e presidente del Comitato scientifico del Cise; Roberto Luongo, direttore generale dell’Agenzia Ice; dalla Tunisia Badi Klibi, presidente Bizerta Free Zne; Ismail Reda, viceministro dei trasporti in Egitto e Mina Erhouni, economista marocchina esperta in Blue Economy.
Al termine del convegno sono stati premiati con il Premio Ulisse Carlo Amenta, Nejia Ben Hellal, don Gianni Citro, parroco di Marina di Camerota ed Elisabetta Garzo, presidente del Tribunale di Napoli.
A Villa Giustina, nella stessa giornata, un appuntamento interessante che ha visto la presentazione di diversi progetti. Ad aprire Federica Marroni, dottoranda dell’università La Sapienza di Roma che sta portando avanti un progetto di ricerca sull’economia del mare, tra turismo e food, dell’ateneo romano in collaborazione con il Consorzio Industriale del Lazio.
«Il mare rappresenta una risorsa non solo dal punto di vista ambientale e sociale, ma anche economico. Un capitale naturale dal quale derivano significativi benefici.
L’obiettivo del nostro progetto è allora quello dello studio del golfo di Gaeta nel quale vengono poste le opportunità ma anche e soprattutto le potenzialità del turismo nello sviluppo del territorio.
Analizzandone, naturalmente, anche le debolezze. Nel Lazio il peso dell’economia del mare è pari al 5,6 per cento di tutte le imprese e attraverso questo progetto si vuole comprendere il ruolo dell’economia del mare all’interno del golfo di Gaeta. Naturalmente mirando ad una governance che punti anche e soprattutto al rispetto ambientale».
Molto interessante la presentazione della passeggiata archeologica di Cicerone voluta dal Comune di Formia, presentata dal vicesindaco Giovanni Valerio ed illustrata dall’architetto Giuseppe Caramanica.
Una passeggiata che riguarderà tutto il lungo mare di Formia con l’idea, un domani, di realizzare un grande collegamento ciclopedonale fino a Minturno. L’idea è quella di liberare la vista del mare tutelando le attività economiche. «La sfida – ha commentato l’architetto – è quella di raggiungere il centro di Formia con un’unica passeggiata sul mare. Cammineremo sull’acqua, creando un luogo per la città».
Presentato inoltre dal professor Claudio Lena, dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, e dal dottor Andrea Forcina, il rapporto sull’economia del mare del sud pontino Formia e Gaeta. Una pubblicazione di oltre trecento pagine particolarmente interessante e che è sintetizzata in due foto che rappresentano il passato ed il presente e un disegno che guarda al futuro.
«È innegabile il vantaggio che la blue economy ha per il territorio. – ha commentato il professor Lena – Basti pensare che il Lazio ha trecento chilometri di costa, l’Italia è bagnata per l’ottanta per cento da mare e, soprattutto, a livello europeo siamo tra i primi a generare Pil con l’economia del mare. C’è da dire che la blue economy ha ragione di esistere nel momento in cui c’è una particolare attenzione alla risorsa mare, perché è la materia prima su cui lavorare. E dunque prima di tutto è necessario conservarlo non solo per lasciarlo alle future generazioni così come lo abbiamo trovato, ma anche perché intorno al mare ruotano diversi settori, dalla pesca alla cantieristica da diporto, dal turismo ricettivo a quello balneare e ricreativo. Senza poi considerare i servizi alle imprese. Tutto ciò fa capire come per un territorio come il sud pontino sia necessario creare nuova occupazione, perché se noi riusciamo a dare occupazione ai giovani vuol dire che questa grande area avrà il suo futuro. In caso contrario non ci sarà».
Ad esporre il rapporto il dottor Andrea Forcina. «La nostra monografia “Blue Economy, rapporto sull’economia del mare nel sud pontino, Formia e Gaeta”, fa appunto una fotografia su quella che è la realtà presente nei territori del golfo. Abbiamo scelto di analizzare per similitudine e per comodità queste città costiere che hanno una vocazione turistica e marinaresca incardinata sin dal loro sviluppo. Si inizia con un’analisi del territorio e una mappatura delle imprese e poi si entra nel merito della questione andando a capire, attraverso alcune interviste, quali sono le problematiche che affliggono questo settore e quali possono essere i possibili driver di potenziamento. E in questa maniera si costruisce la nostra foto. Il disegno altro non è che una possibile implementazione futura di quello che potrebbe essere un domani con un potenziamento della blue economy, che diventa blue economy nel momento in cui l’economia del mare incontra il concetto di sostenibilità che parte dalla Commissione Europea. L’idea è quella di andare a potenziare due aspetti dell’economia del mare: la sostenibilità ed il potenziamento economico».
Presente all’evento anche il sindaco di Gaeta Cristian Leccese. «La blue economy è una tematica che ci sta a cuore non solamente per la vocazione naturale del nostro territorio, ma fondamentalmente per una strategia di rilancio verso il futuro. Dobbiamo necessariamente caratterizzarci e chiaramente il mare rappresenta per noi non solamente le nostre tradizioni e la nostra storia ma anche il nostro futuro ed i nostri nuovi orizzonti. Facendo leva su tutto ciò che il mare ci offre e quindi non solo quelle che sono le attività più tradizionali come la pesca, la balneazione, la cantieristica, la portualità e tantissime altre attività come ad esempio quelle del tempo libero, ma fondamentalmente dobbiamo cercare di innovare tutto ciò, cercando di fare in modo che il mare rappresenti un elemento di qualità e quindi di sicuro la tutela degli ecosistemi, con la protezione delle nostre coste e delle nostre acque. Forse questo è quello su cui ci dobbiamo impegnare di più per cercare di rilanciare e rivendicare in modo forte il nostro attaccamento al mare e all’economia del mare».
In serata gli eventi proseguono nella pineta di Vindicio, dove è stato allestito il villaggio Med e dove ogni sera, alle 21, alle 22 e alle 23, è possibile ammirare lo spettacolo dello schermo d’acqua, che prende vita con l’abbinamento di video proiezioni. L’altra sera la finale del Talent Show e la presentazione ufficiale, nell’area di Caposele, della squadra di calcio Insieme Formia.
Da domani, 2 settembre, e fino al 4, spazio all’iniziativa dal titolo “La testa in aria”, con un incredibile spettacolo degli aquiloni sul lungomare.
Un ampio cartellone, quello del Med Blue Economy, curato dal direttore artistico della kermesse Gianni Donati.
Tutti gli aggiornamenti sul cartellone degli eventi del Med Blue Economy sono disponibili sui profili social ufficiali della manifestazione e del Consorzio Industriale del Lazio e sui siti www.medblueeconomyinternational.it, www.consorziolazio.it, www.comune.formia.lt.it.

 




Cosa sta succedendo al clima del Mediterraneo?

Ormai anche il più incallito negazionista sull’effetto serra e sui relativi cambiamenti climatici, comincia a ricredersi e a preoccuparsi del proprio futuro condizionato proprio dai profondi “capricci” del clima. Siamo tutti consapevoli di quello che sta accadendo nel Mondo a causa dei fenomeni meteo-climatici estremi, e questo grazie alle cronache giornalistiche quotidiane. Forse un po’ meno sappiamo del perché certi fenomeni meteo estremi interessano anche il nostro Paese. Non rimane, quindi, che approfondire la questione.
Fino alla fine del 1980 le nostre estati erano caratterizzate da picchi di calore, comunque sopportabili, in particolare tra l’ultima settimana di luglio e la prima di agosto, poi verso Ferragosto con i primi temporali le giornate anche se assolate erano accettabili e in alcuni casi gradevoli. Ma a partire dal 1990 le cose hanno cominciato a cambiare: le bolle di calore africano dell’anticiclone subtropicale nordafricano sul nostro territorio si sono fatte sempre più insistenti; inizialmente un solo evento nei mesi estivi, a volta a luglio che al massimo durava una settimana; poi le cose sono cambiate in peggio, tutti ricorderanno l’eccezionale ondata ci caldo torrido africano durato quasi quattro mesi che a partire dalla Francia e poi estesosi su altre regioni del nord Europa causò oltre 70.000 morti. Da allora la situazione meteo-climatica non ha più prodotto stragi tra le persone fragili, ma comunque le ondate di calore sahariano da allora non si sono più fermate. Oggi nel 2021, a fine luglio, stiamo subendo la terza ondata di alta pressione nord africana, la stessa che sta mandando in fumo le nostre foreste a partire dalla Sardegna. Poi lo scontro con aria più fredda proveniente dal nord Atlantico e quella torrida africana ha prodotto disastri sulle nostre regioni settentrionali.
Perché tutto questo, ma che sta accadendo? La parola chiave di questa profonda crisi climatica è: il riscaldamento globale. E pensare che tutto ciò è attribuibile ad un solo grado di aumento della temperatura media della Terra a partire dall’inizio del XX° secolo. Un solo grado che però a noi del Mediterraneo ci ha privato di una barriera naturale che bloccava “ l’alito infuocato dell’Africa”; stiamo parlando dell’Anticiclone delle Azzorre che grazie alla sua presenza sul Mediterraneo, come da immagine che segue, ci regalava estati calde, ma non torride, giornate estive tranquille senza prolungate siccità, né trombe d’aria, e nubifragi.

L’alta pressione delle Azzorre si manifestava solitamente a partire da metà giugno e poi si piazzava, come nell’illustrazione, su parte del Mediterraneo per tutto il periodo estivo. Arrivava ogni tanto qualche veloce fronte nord atlantico, che provocava qualche temporale che stemperava per qualche giorno le eventuali temperature eccessive. I maggiori picchi di calore tuttavia raggiungevano di poco gli oltre 30°C sulle regioni settentrionali e qualche grado in più al centro sud. L’alta pressione delle Azzorre raramente produceva temporali termici estremi, come abbiamo vissuto in questi giorni al nord Italia, salvo rare eccezioni. Tutto questo perché L’alta pressione delle Azzorre fungeva da barriera contro dell’anticiclone subtropicale nordafricano, che ormai trova la strada aperta per giungere tranquillamente quando vuole fino ed oltre le nostre Alpi.
Ora a causa al riscaldamento superficiale dell’oceano Atlantico, all’espansione della zona Tropicale di oltre 300 km sia verso nord che verso sud (La fascia tropicale in passato non superava le coste della Tunisia, ora ha raggiunto Lampedusa, vedi illustrazione), alla variazione di circolazione delle correnti a getto (jet streams) e ad altri fattori sempre legati a quel grado di calore in più, l’Anticiclone delle Azzorre si è definitivamente defilato dal Mediterraneo posizionandosi tra il nord del Portogallo e le coste sud dell’Islanda.

Questa è la situazione climatica a partire dal 1980 che ha influito sulla posizione dell’anticiclone delle Azzorre. Ovviamente ci sono altri fattori che hanno contribuito a questa situazione legati alla fisica dell’atmosfera, alla maggiore evaporazione dei mari, ecc. fattori che al momento possono interessare più gli studiosi che i lettori. E’ ormai questa una realtà con la quale dovremmo conviverci.
Si può trovare una soluzione? Ripristinare condizioni climatiche sul bacino del Mediterraneo come erano prima del 1980? Non proprio! Gli scienziati (climatologi) ci dicono che “ la macchina del tempo” ormai si è attivata nel verso peggiore per noi umani ed è improbabile che cambi percorso. Quindi non illudiamoci, la verità è che ormai abbiamo perso la battaglia sulla mitigazione climatica. Non dobbiamo illuderci di fermare quest’aumento della temperatura media del pianeta, e questo perché, nonostante l’emergenza climatica evidente, prevalgono forti interessi di parte per cui si continuerà ad immettere gas climalteranti nell’atmosfera fino a raggiungere temperature medie sempre più catastrofiche. Sta di fatto che i produttori di combustibili fossili non accetteranno mai di smettere di pompare dalla profondità della crosta terrestre il petrolio, né i grandi allevatori di bestiame a limitare drasticamente il numero dei bovini soprattutto nell’America Latina, dove per creare sempre più pascoli si incendiano e si disboscano le ultime foreste pluviali del pianeta (I bovini per le loro funzioni fisiologiche producono molto CH4, ossia il metano che come gas serra è 22 volte più potente della CO2), ecc. ecc. Significativo è l’esempio del COP 24 sul clima del 2018 organizzato a Katowice in Polonia. Nella sezione dei lavori in cui si prospettava la riduzione dei combustibili fossili, i governanti polacchi posero subito una pregiudiziale: si parli di tutto, ma non si pensi di limitare l’estrazione del carbone fossile perché per noi è la principale fonte di energia. Da quest’ultimo esempio si evince che nel 2030 solo parte dell’Europa, forse gli USA e il Canada riusciranno a rispettare gli accordi di Parigi, tutti gli altri Paesi del Mondo, non solo per i motivi appena accennati, ma per un’altra serie di interessi prettamente nazionalistici, non faranno fede agli accordi di Parigi da loro stessi firmati nel 2015. E quindi?
Quindi non resta all’umanità che adattarsi, prepararsi alle conseguenze di un clima sempre più diverso da quello che fino a meno di mezzo secolo fa eravamo abituati a conviverci. Adattarsi a situazioni meteo-climatiche avverse e in devenire, comporterà una profonda modifica dei comportamenti umani, un po’ come è sta accadendo a livello planetario per questa pandemia virale. Viene a questo punto chiederci: sulla fase di adattamento al nuovo clima siamo preparati? Sappiamo come muoverci?
Al momento in tal proposito ci sono molte idee, ma tutte confuse e a volte in contraddizione tra di loro, per fortuna all’Università La Sapienza di Roma e grazie ad alcune associazioni ambientaliste storiche nostrane si è cominciato a muoversi nel verso giusto. Ad esempio si è compreso che serve una nuova figura professionale capace di affrontare questa realtà climatica, una figura capace di assistere le amministrazioni pubbliche soprattutto locali nella fase dell’adattamento, quindi nella messa in sicurezza del territorio da fenomeni meteo estremi (siccità e nubifragi), nonché provvedere alla salute delle persone. Esperti quindi anche nel consigliare nuove forme di agricoltura adatta alla nuova situazione climatica, ma non solo, persone capaci di aiutare le amministrazioni pubbliche a trovare finanziamenti nazionali, europei e privati per intervenire e cercare di ridurre tutte le eventuali criticità del territorio.
Il 20 settembre prossimo pertanto presso il Dipartimento di Chimica dell’ università La Sapienza partirà il primo corso internazionale per formare questa nuova figura che è stata battezzata: Geniere della protezione ambientale e climatica. Certamente non si tratta di risolvere tutti i problemi connessi ai cambiamenti climatici, tuttavia è una concreta risposta all’adattamento climatico che giorno dopo giorno diventa sempre più reale. Le organizzazioni alla base di questa iniziativa sono: Accademia Kronos, Ecoitaliasolidale, EURISPES, Marevivo e La Società Italiana di Geologia Ambientale, con l’adesione di altri importanti enti quali: Battibaleno, Istituto di zoologia marina Anton Dorhn, Movimento Azzurro ed altri in fase di conferma. Due le persone comunque che hanno permesso l’avvio di questa iniziativa: Luigi Campanella, il guru della scienza chimica in Italia, docente presso la Sapienza ed Ennio La Malfa, fondatore di Accademia Kronos ed ex presidente del Sottocomitato per i Cambiamenti Climatici del Ministero delle Politiche Agricole.
Il corso per formare esperti nell’adattamento ai cambiamenti climatici ha già superato il limite delle possibili adesioni, per cui se ne prospetteranno altri tra breve.
Per richiedere di partecipare al secondo corso per Geniere della Protezione Ambientale e Climatica è necessario scrivere a: ecoitaliasolidale2020@gmail.com

Ennio La Malfa




Mediterraneo: 30% di tutela, è la chiave per rigenerare la biodiversità e sostenere anche l’attività di pesca

ROMA – Gli stock ittici del Mediterraneo, inclusi quelli di grande valore commerciale di nasello e cernia, potrebbero rigenerarsi se il 30% del mare venisse protetto efficacemente [1]. Considerando che ad oggi, solo il 9,68% del Mar Mediterraneo è indicato come ‘protetto’ e che solo l’1,27% è effettivamente tutelato, c’è ancora molto lavoro da fare.

Il nuovo report del WWF “30 per 30: Possibili scenari per rigenerare la biodiversità e gli stock ittici nel Mediterraneo” indica gli scenari per l’attività di conservazione nel Mar Mediterraneo, analizzando i benefici che l’interruzione della pesca insostenibile e della pesca illegale, e di altre attività dannose in aree selezionate, porterebbe alla biodiversità marina e alle popolazioni ittiche. Lo studio è stato condotto in collaborazione con i ricercatori del CNRS-CRIOBE Francese, l’Ecopath International Initiative e l’ICM-CSIC Spagnolo.

L’analisi scientifica [2] ha evidenziato che nei prossimi anni, se la pesca insostenibile e le altre attività industriali proseguiranno agli stessi livelli di oggi, gli stock ittici nel Mediterraneo continueranno a diminuire [3].

In contrasto a questo trend, il report conferma che la protezione efficace di specifiche aree, fino a raggiungere il  30% del Mar Mediterraneo, unita alla gestione sostenibile delle attività economiche nella restante parte del bacino [4], garantirebbe l’aumento di questi stessi stock ittici commerciali e una ripresa significativa dell’intero ecosistema marino. I risultati dello studio, inoltre, mostrano che le catture degli sparidi (come saraghi, dentici, etc) potrebbero aumentare del 4-20% e quelle dei grandi pesci demersali (che vivono sui fondali) di interesse commerciale (ad esempio il nasello) fino al 5%.

Nel Mediterraneo Occidentale, per cui sono disponibili più dati scientifici, l’analisi mostra aumenti potenziali degni di nota: la biomassa di predatori come gli squali potrebbe aumentare fino al 45%, mentre la biomassa di specie commerciali come le cernie potrebbe aumentare del 50% e il nasello potrebbe perfino raddoppiare la sua biomassa. Anche il tonno rosso, la popolazione più iconica e commercialmente importante del Mediterraneo, potrebbe potenzialmente rigenerare la sua biomassa fino a un aumento record del 140%.

Marina Gomei, del WWF Mediterranean Marine Initiative, ha dichiarato:

“Oggi abbiamo la prova scientifica che la protezione di aree chiave del Mediterraneo è un modo efficace per ricostituire gli stock ittici più importanti e fermare la drammatica perdita di specie e habitat che sta minacciando il nostro mare. Queste aree marine hanno un enorme potenziale per sostenere il settore della pesca e le economie locali, già ampiamente  colpite dalla pandemia da COVID19, e aumentare la nostra resilienza contro il cambiamento climatico. Il prossimo decennio deve vedere il Mar Mediterraneo di nuovo al centro delle agende ecologiche ed economiche dei nostri governi se vogliamo assicurare un futuro per il quasi mezzo miliardo di persone che vivono nella regione”.

A fine 2021, ci si aspetta che i leader mondiali adottino un nuovo Piano Globale post-2020 per la Biodiversità per fermare e invertire la perdita di Natura. Più di 50 Paesi, inclusa l’Italia, hanno già chiesto un impegno per proteggere il 30% del Pianeta entro il 2030. Questo impegno dovrebbe poi essere applicato dai Paesi Mediterranei nel Piano regionale per la biodiversità da adottare a dicembre alla 22° Conferenza delle Parti della Convenzione di Barcellona. A tal fine, il WWF chiede [5] a tutti i governi Mediterranei di sviluppare tempestivamente dei piani di azione regionali e nazionali più ambiziosi per fornire una protezione adeguata al Mar Mediterraneo.

ITALIA AL CENTRO DELLA STRATEGIA DI TUTELA

L’ Italia in particolare è una delle nazioni con la maggiore responsabilità per il raggiungimento degli obiettivi al 2030 nel Mediterraneo, poiché le sue coste sono lambite da 3 delle 6 aree che, se protette, si prevede forniscano i maggiori benefici di conservazione: Mediterraneo nord-occidentale, Canale di Sicilia e Mare Adriatico. Nel nostro Paese però molto deve essere ancora fatto: secondo l’analisi condotta nel 2019 da WWF infatti, soltanto l’1,67 % delle aree marine a vario titolo protette italiane, incluse AMP e siti Natura2000, sono gestite in modo efficace attraverso piani di gestione implementati (Gomei et al.2019).

I 4 PASSI FONDAMENTALI

Quattro sono le azioni che il nostro Paese deve necessariamente compiere entro il Super Year se intende mantenere gli impegni presi al 2030. Il WWF chiede, infatti, che l’Italia dimostri l’impegno preso al 2030  con 4 azioni concrete  immediate, volte in primo luogo ad aumentare l’efficacia di gestione delle aree marine protette esistenti (6):  1) identificazione , tramite Direttiva ministeriale, di obbiettivi SMART  (Specifici, Misurabili, Realizzabili, Rilevanti, Temporizzabili) per tutte le AMP, da definire con il sostegno del Ministero dell’Ambiente e di ISPRA o enti di ricerca analoghi, per aumentarne l’efficacia nella conservazione degli ecosistemi marini 2)  identificazioni di obbiettivi SMART per tutti i siti Natura 2000, da parte degli enti preposti alla loro gestione, per aumentarne l’efficacia nella conservazione degli ecosistemi marini e per contribuire al raggiungimento del Buono Stato Ambientale 3)eliminazione delle attività illegali, ancora troppo diffuse nelle AMP e nei siti Natura 2000 4)  formalizzazione a livello nazionale di sistemi locali di cogestione per condividere la responsabilità dell’identificazione e gestione delle aree protette e delle risorse naturali tra i diversi portatori di interesse, compresi i pescatori artigianali, valorizzando la piccola pesca come opportunità di presidio e gestione.

Roma, 25 febbraio 2021

Note:

[1] Il WWF e altre Parti stanno chiedendo un network efficace di Aree Marine Protette (AMP) e di altre misure efficaci per la conservazione basate sulla protezione dello spazio marino (Other Effective area based Conservation Measures, OECMs) per conservare il 30% del Mar Mediterraneo entro il 2030. La differenza tra aree protette e OECM è che se l’obiettivo primario delle aree protette è la conservazione, le OECM forniscono un’efficace conservazione della biodiversità in situ indipendentemente dai propri obiettivi (IUCN-WCPA, 2019). Per esempio, la chiusura alla pesca commerciale in una determinata area, stabilita attraverso un piano di gestione a lungo termine, e l’ottenimento di risultati positivi per la biodiversità possono essere classificati come una OECM, contribuendo sia ai target della Convenzione della Diversità Biologica che ai Goal per lo Sviluppo Sostenibile.

[2] La descrizione della metodologia usata per sviluppare gli scenari è fornita nel report completo.

[3] Il 75% degli stock ittici studiati nel Mediterraneo sono sovrasfruttati e le temperature stanno aumentando del 20% più velocemente della media globale. La pandemia da COVID19, con la riduzione delle attività dovuta ai lockdown e alla diminuzione della domanda di pesce a causa della chiusura di mercati locali di pesce e ristoranti, ha colpito gravemente il settore della pesca a livello globale e nel Mediterraneo (vedi la nostra mappa regionale degli effetti del COVID19).

Il WWF ha calcolato che, se protette efficacemente, le risorse marine del Mar Mediterraneo potrebbero fornire un patrimonio stimato di 450 miliardi di dollari all’anno.

[4] Le aree del Mediterraneo che si prevede forniscano i maggiori benefici di conservazione sono: Mare di Alboran, Mediterraneo nord-occidentale, Canale di Sicilia, Mare Adriatico, Fossa ellenica, Mar Egeo e Mar Levantino.

[5] Il WWF chiede ai Paesi del Mediterraneo di:

Espandere la copertura delle AMP e delle OECM fino al 30% del Mar Mediterraneo.

Proteggere gli hotspot di biodiversità marina per aumentare le future catture della pesca nelle aree sovrasfruttate del Mar Mediterraneo e assicurare il pescato e la sussistenza delle generazioni future.

Lavorare con altri settori per l’istituzione di OECM. I passi verso le OECM dovrebbero includere l’istituzione di nuove: aree no-take gestite localmente, zone di restrizione della pesca, corridoi ecologici, e divieti di pesca a strascico estesi al mare profondo e alle coste.

Integrare il network di AMP e OECM all’interno di una più ampia gestione marina integrata e basata sugli ecosistemi al fine di gestire in modo sostenibile tutte le attività nel Mediterraneo.

Aumentare urgentemente il livello di protezione di AMP e OECM presenti e future, combinando aree integralmente e altamente protette che permettano la rigenerazione degli ecosistemi e forniscano maggiori benefici.

Assicurarsi che tutte le AMP e OECM siano gestite efficacemente, tramite zonazione, piani di gestione e risorse sufficienti per la loro l’implementazione e il monitoraggio.

Impiegare strumenti finanziari adeguati ed equi al fine di promuovere la trasformazione dallo status quo verso una conservazione efficace e una blue economy sostenibile. I Paesi a basso reddito necessitano di supporti finanziari per la ricerca, per la pianificazione spaziale marina e per l’implementazione di misure di conservazione.

Coinvolgere gli stakeholder locali in tutte le fasi relative alla creazione e alla gestione di AMP e OECM tramite la cogestione e i processi partecipativi. I pescatori e le comunità locali devono essere coinvolti nelle decisioni che interessano i loro diritti e la loro sussistenza e devono condividere la responsabilità della gestione delle loro risorse.




Studiare la biodiversità del Mediterraneo senza nuocere a balene e delfini

MILANO – Utilizzare i traghetti di linea come piattaforme per recuperare campioni di acqua marina. Successivamente, filtrare i campioni in laboratorio per prelevare il DNA ambientale (eDNA, environmental DNA), le tracce di DNA lasciate dagli organismi nell’ambiente circostante. Il tutto per realizzare un sistema di monitoraggio innovativo e ad impatto zero della biodiversità marina del Mediterraneo e del Mar Tirreno.

È l’obiettivo di “Tutti pazzi per il Mediterraneo! – MeD for Med”, progetto selezionato nell’ambito della seconda edizione dell’Università del Crowdfunding, il programma di finanza alternativa dell’Università di Milano-Bicocca, promosso per consentire a studenti, ex studenti, docenti, ricercatori e dipendenti dell’Ateneo di realizzare progetti innovativi ed idee imprenditoriali attraverso campagne di raccolta fondi su Produzioni dal Basso, prima piattaforma italiana di crowdfunding e social innovation.

La squadra di “MeD for Med” è guidata da Elena Valsecchi, ecologa molecolare del dipartimento di Scienze ambientali e della terra all’Università di Milano-Bicocca e si compone di professori, ricercatori e studenti e neolaureati del corso di Marine Sciences dell’Ateneo milanese, di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e della Università di Leeds (Regno Unito). Nello specifico, il progetto ha lo scopo di realizzare un protocollo replicabile per saggiare e monitorare nel tempo la biodiversità marina nel Mediterraneo e nel Mar Ligure, misurandone lo stato di salute, secondo un format innovativo che prevede: zero invasività e zero emissioni aggiuntive.

Le informazioni biologiche verranno infatti acquisite non attraverso il prelievo di organismi dal mare, ma – come indica il nome del progetto (Med for Med è l’acronimo di “Marine environmental DNA for the Mediterranean”) – dal DNA ambientale. «Le tracce di DNA lasciate dagli organismi marini nell’acqua – spiega la coordinatrice, Elena Valsecchi – saranno recuperate filtrando campioni di acqua marina nei punti in cui si intende rilevare la composizione e l’abbondanza della biodiversità e i punti di campionamento chiave, in grado di dare una visione complessiva e nel contempo capillare dell’intero bacino Mediterraneo, saranno raggiunti usando traghetti di linea come piattaforma “opportunistica” di campionamento». Il Mar Mediterraneo è un bacino unico al mondo, che ospita fino al 18 per cento di tutte le specie marine conosciute, molte delle quali endemiche, sebbene costituisca solo lo 0,8 per cento della superficie oceanica globale.