L’abbraccio come metafora della cura. Il modello NeMO al Senato della Repubblica

ROMA – Un abbraccio che diventa simbolo del prendersi cura, della vicinanza e della corresponsabilità tra pazienti, istituzioni e comunità scientifica. Questo il messaggio che oggi i Centri Clinici NeMO, punto di riferimento per le malattie neuromuscolari e neurodegenerative, hanno portato al Senato della Repubblica Italiana. Nella prestigiosa cornice della Sala Caduti di Nassirya, una pluralità di voci ha testimoniato l’unicità di un modello di assistenza nato dalla volontà dei pazienti stessi e sviluppato in collaborazione con il sistema sanitario e la comunità scientifica.

L’evento, promosso su iniziativa del Senatore Francesco Silvestro, presidente della Commissione Parlamentare per le Questioni Regionali, ha visto la moderazione di Francesco Ognibene, caporedattore centrale di Avvenire, e la partecipazione di Maria Vittoria Belleri, la piccola Mavi, paziente dei Centri NeMO e giornalista più giovane d’Italia, nota per aver intervistato il Presidente della Repubblica.

Il valore della cura tra eccellenza clinica e accoglienza

“Per me NeMO è casa”, ha affermato Mavi, aprendo i lavori con parole semplici ma cariche di significato, che evidenziano il senso profondo del curare: prendersi cura della persona nella sua interezza. Un concetto che guida l’operato dei Centri NeMO nelle loro otto sedi. Con 134 posti letto, 10 palestre, oltre 400 professionisti e quasi 20.000 famiglie prese in carico in diciassette anni, NeMO dimostra che la scienza e la medicina possono cambiare il proprio approccio, restituendo centralità al paziente e alla sua qualità di vita.

Un tema ribadito dagli interventi di Marco Rasconi, presidente dei Centri NeMO e di UILDM; Mario Sabatelli, direttore clinico di NeMO Roma per l’area adulti; Eugenio Mercuri, direttore scientifico di NeMO Roma per l’area pediatrica e direttore del Dipartimento Scienze della Salute della Donna, del Bambino e di Sanità Pubblica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli;, Francesca Pasinelli, consigliere di Fondazione Telethon e Vicepresidente Centri NeMO, e Paolo Lamperti, direttore generale del network NeMO.

Un’alleanza territoriale per garantire continuità di cura

Il modello NeMO si basa su un sistema di relazioni a “geometria variabile”, in grado di adattarsi alle specificità territoriali per garantire un accesso diffuso ai servizi. Un’esperienza raccontata da Luigi Cajazzo, Direttore Generale ASST Spedali Civili di Brescia; Rocco Liguori, Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università di Bologna; Paolo Bordon, Direttore Generale del Dipartimento Sanità e Servizi Sociali della Regione Liguria; Armando Marco Gozzini, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche; Jacopo Bonavita, Direttore dell’Unità Operativa di Riabilitazione Ospedaliera – Villa Rosa, Trento.

Dare un nome alla cura: il valore delle esperienze personali

I Centri NeMO portano il nome e la storia di chi li vive ogni giorno, tra curanti e curati. Lo dimostrano le testimonianze di Simona Spinoglio, psicologa e specializzanda in psicoterapia presso NeMO Milano, e Anna Mannara, nutrizionista di NeMO Napoli, entrambe portatrici di interesse che hanno scelto di mettere al servizio del progetto la loro esperienza professionale e personale.

A rendere ancora più significativo il percorso di NeMO è stato il ricordo di Giovanni Nigro, ricercatore campano di fama internazionale e riferimento per le persone con malattie neuromuscolari, cui è dedicato il Centro NeMO Napoli. Un omaggio reso dai figli Vincenzo e Gerardo Nigro, che ne hanno testimoniato l’eredità scientifica e umana.

La comunità dei pazienti e l’impegno per il futuro

L’incontro ha ribadito l’importanza della partecipazione attiva della comunità dei pazienti nella costruzione e nello sviluppo di un modello di cura innovativo. Ne hanno parlato Anita Pallara, presidente nazionale dell’Associazione Famiglie SMA, e Fulvia Massimelli, presidente nazionale di AISLA – Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica.

A rafforzare il messaggio culturale dei Centri NeMO, il contributo di Lisa Noja, Consigliere della Regione Lombardia e paziente NeMO, e Fabrizio Benzoni, Deputato della Repubblica Italiana, che hanno sottolineato come il concetto stesso di disabilità possa e debba essere ripensato come una risorsa per la società.

L’abbraccio come impegno condiviso

La metafora dell’abbraccio, dunque, si traduce in un impegno collettivo che supera ruoli e competenze per dare vita a una comunità unita dall’unico obiettivo di garantire la migliore qualità di vita possibile a chi convive con patologie neuromuscolari.

Perché nei Centri NeMO nessuno è solo, nessuno è un numero, nessuno è “nessuno”.




Ricerca SLA: Centri NeMO, conoscere la malattia per l’efficacia dei trials clinici

MILANO– Gli approcci innovativi negli studi clinici sulla SLA; l’attenzione a nuovi biomarcatori per la malattia; l’identificazione precoce dei sintomi sono tra i temi affrontati nel workshop Criticalities in ALS. From disease characterization to clinical trial design. L’appuntamento formativo, dedicato a ricercatori e professionisti sanitari e promosso dai Centri Clinici NeMO, si è svolto presso il Policlinico Gemelli, la sede romana del network nazionale esperto nella cura delle malattie neurodegenerative e neuromuscolari. Solo nell’ultimo anno, la rete NeMO ha attivato 36 studi clinici sulla SLA e preso in carico oltre 2.500 persone con la patologia.

Le questioni affrontate dalla seconda tappa del percorso formativo, che ha visto riuniti cinque clinici esperti del network NeMO, colgono le sfide a cui sono chiamate la comunità scientifica e dei pazienti oggi. E dove la ricerca apre a nuovi scenari, l’alleanza del lavoro di rete diventa la risposta che pone la persona al centro del suo progetto di vita.

Ed è su questa capacità che si focalizza il contributo della prof.ssa Valeria Sansone, direttore clinico-scientifico del Centro NeMO di Milano e professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, che ha aperto i lavori. Il valore dell’alleanza, infatti, diventa opportunità per traslare l’esperienza Workshop SLA professionisti in aulacostruita su altre patologie neuromuscolari, per meglio approcciare la complessità della SLA, in un momento storico in cui inizia ad esservi un numero crescente di studi clinici farmacologici sulla malattia, fondati su nuovi razionali scientifici.

L’urgenza e la necessità è l’identificazione precoce dei sintomi, approfondita dalla dott.ssa Federica Cerri, medico neurologo e referente area SLA del Centro NeMO di Milano. Intervenire tempestivamente è importante non solo nella fase della diagnosi di malattia. Le evidenze scientifiche, infatti, mostrano come una presa in carico mirata e anticipata sia fondamentale nel prevenirne il peggioramento clinico, con un impatto concreto nel migliorare qualità di vita e sopravvivenza. Evidenze che aprono a nuovi scenari di ricerca nel comprendere la SLA come un “processo biologico”, che inizia con una fase presintomatica – definita Mild Motor Impairment – e che è necessario sempre di più imparare a identificare ed interpretare precocemente per essere efficaci anche nei trattamenti di cura. E proprio il percorso di presa in carico mirata deve considerare ogni aspetto funzionale – respiro, nutrizione, movimento e comunicazione – anche come indicatore utile di monitoraggio della malattia, per contribuire dal punto di vista scientifico a comporre i tasselli del puzzle della SLA. Tra questi, il ruolo dei disturbi cognitivo-comportamentali nell’evoluzione della patologia, affrontati dal dott. Emanuele Costantini, medico neurologo del Centro NeMO Ancona. Spesso considerate tardivamente dal punto di vista clinico, le correlazioni della funzione cognitiva con il decorso della SLA sono supportate da un’ampia letteratura scientifica. La sfida sarà comprendere come rendere sempre più misurabile l’impatto di questi sintomi sulla diagnosi e su nuovi trattamenti di cura.

E inevitabilmente il riferimento va al farmaco Tofersen per chi ha la mutazione del gene SOD1, approvato da qualche settimana dell’Agenzia regolatoria americana (FDA) e alle ragioni scientifiche che pongono in primo piano il dosaggio dei neurofilamenti quale possibile biomarcatore surrogato di malattia. Tema affrontato dal prof. Mario Sabatelli, direttore clinico del NeMO Roma, area adulti, e presidente della commissione medico-scientifica di AISLA Onlus. Ad oggi la scienza e la pratica clinica evidenziano come nelle persone con SLA vi sia un aumento dei neurofilamenti, proteine che costituiscono una sorta di scheletro delle fibre nervose. A seguito della degenerazione dei motoneuroni i neurofilamenti vengono rilasciati nel siero e nel liquido cerebrospinale della persona ammalata. Il dosaggio dei neurofilamenti nel siero può fornire un contributo importante nella diagnosi precoce e, come nel caso del Tofersen, un supporto di grande utilità per valutare la risposta ai farmaci.

In questo contesto, il primo messaggio che emerge è la priorità di porre al centro della relazione di cura la persona e il suo diritto all’autodeterminazione. Una overview presentata dalla dott.ssa Stefania Bastianello, direttore tecnico di AISLA onlus, sugli approcci scientifici e sulla normativa europea e nazionale, a partire dalla L.219/2017 in merito alla Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC). Strumenti a sostegno dell’alleanza medico – paziente che permettono alla comunità scientifica e dei pazienti di costruire strategie nuove per far fronte alla complessità della malattia.

Nuove strategie di presa in carico, dunque, che cambiano il paradigma della qualità di vita. È questo il tema affrontato dal dott. Riccardo Zuccarino, direttore clinico del Centro NeMO Trento, che chiude i lavori. La SLA costringe, infatti, la persona a ricostruire nuovi contenuti di vita alla luce dell’esperienza di malattia; la risposta clinica allora deve necessariamente partire dalla relazione e dare risposte che ripensino ogni volta ad interventi riabilitativi, adattati alle esigenze specifiche di ciascuno. È guardare al dettaglio del quotidiano con un pensiero creativo, per trovare soluzioni orientate alla ricerca del benessere di ciascuno, come il gesto semplice di riadattare la forchetta per essere portata alla bocca in autonomia.

Con il patrocinio di AISLA Onlus, nell’ambito delle celebrazioni dei suoi 40 anni di attività, di Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Policlinico Universitario Fondazione A. Gemelli, la formazione ha visto gli esperti condividere il valore della continuità tra ricerca e cura per conoscere e cambiare la storia naturale di questa grave malattia neurodegenerativa.