Il Vangelo della domenica, domenica delle Palme

VANGELO (Mt 21,1-11)
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”».

I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».

Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

COMMENTO: Oggi la Chiesa celebra la Domenica delle Palme, anche conosciuta come Domenica della Passione di Cristo, un momento liturgico profondamente significativo che segna l’inizio della Settimana Santa. In questa giornata, due importanti brani del Vangelo vengono proclamati: l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme e il racconto della sua Passione.

L’evangelista Luca narra l’arrivo di Gesù a Gerusalemme, simbolo del compimento della sua missione. Gesù vi entra con umiltà, cavalcando un puledro, richiesto in prestito, per sottolineare la semplicità e la mitezza che lo hanno accompagnato per tutta la vita. Il popolo lo accoglie festosamente, stendendo i mantelli sulla strada e agitando rami d’ulivo, simboli di pace, benedizione e accoglienza.

Il secondo brano è la Passione del Signore, il racconto intenso delle ultime ore di Gesù: dal suo arresto alla condanna, fino alla crocifissione e alla morte. Un testo profondo, presente in tutti e quattro i Vangeli, che continua ancora oggi a commuovere e a toccare il cuore di chi lo ascolta, invitando alla riflessione e al pentimento.

La Domenica delle Palme ha anche un valore fortemente simbolico e comunitario. È la domenica della pace e della riconciliazione, in cui i fedeli si scambiano gli auguri e si donano rami d’ulivo benedetti, che rappresentano un segno di benedizione e armonia. Prima della messa principale, infatti, è consuetudine che si benedicano le palme e si svolga una processione d’ingresso in chiesa, pratica comune in tutte le parrocchie e comunità religiose.

I rami d’ulivo vengono poi portati nelle case e spesso utilizzati durante la benedizione pasquale, una tradizione ancora viva in molte famiglie italiane, che continua a trasmettere i valori fondamentali della fede.

Questa giornata, che ci introduce alla Settimana Santa, è un richiamo al mistero centrale della fede cristiana: la morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Pasqua rappresenta la rinascita e la speranza, una vita nuova che nasce attraverso il dolore e la croce.

In un mondo attraversato da guerre e tensioni, non solo militari ma anche economiche, questa preparazione alla Pasqua invita a coltivare la pace e la riconciliazione. L’augurio è che questi giorni portino luce e speranza in luoghi segnati dalla sofferenza, come l’Ucraina, Israele e tante altre regioni colpite da conflitti. Buona Domenica delle Palme a tutti, nella pace del Signore.

 

 

 




Il Vangelo della domenica, V domenica di Quaresima

Gv 8,1-11
Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Parola del Signore

COMMENTO: Nel brano evangelico proposto per la domenica, Gesù si reca, come spesso faceva, al monte degli Ulivi per pregare e ritirarsi in silenzio. Ma al mattino si dirige di nuovo verso il tempio, dove il popolo si raccoglie per ascoltarlo. La sua parola è diversa da quella degli altri rabbini: parla di un Dio che è Padre e che ama tutti gratuitamente, in contrasto con l’immagine di un Dio da “comprare” con offerte e sacrifici nel tempio.

Durante il suo insegnamento, scribi e farisei gli portano una donna sorpresa in adulterio, chiedendogli cosa fare. La Legge di Mosè prevedeva la lapidazione, ma pongono la domanda per metterlo alla prova: se approva la condanna, contraddice il suo messaggio di misericordia; se propone il perdono, possono accusarlo di andare contro la Legge.

Gesù non risponde subito. Si china a terra e scrive col dito, in un gesto carico di silenzio e mitezza. Poi si alza e pronuncia una frase rimasta nella storia: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra». Nessuno lo fa. Uno a uno, a partire dai più anziani, se ne vanno. Forse perché anche loro hanno peccato, forse perché sanno che la condanna non risolve nulla.

Alla fine, restano solo Gesù e la donna. Lui le dice: «Nessuno ti ha condannata? […] Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». È un invito non solo al cambiamento, ma alla vita piena e libera dal peccato, che non è una condanna, ma un ostacolo alla felicità.

Questo episodio ci ricorda il cuore del messaggio cristiano: Gesù non è venuto per giudicare, ma per salvare. Condanna il peccato, sì, ma non il peccatore. A lui tende sempre la mano per rialzarlo e aiutarlo a ricominciare. A tutti, ancora oggi, Gesù ripete: “Va’, vivi e non peccare”.




Il Vangelo della domenica, IV domenica di Quaresima

Vangelo
Lc 15,1-3.11-32
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Parola del Signore

COMMENTO: Il capitolo 15 del Vangelo di Luca ci regala una delle pagine più intense e toccanti: la parabola di un padre amorevole e dei suoi due figli ribelli. Questo racconto, che riflette le dinamiche familiari e spirituali di ogni epoca, ci invita a un profondo esame di coscienza sulle nostre relazioni e sul significato della vera comunione.

Gesù pronuncia questa parabola in risposta alle critiche dei farisei, scandalizzati dalla sua vicinanza ai peccatori. Paradossalmente, coloro che si ritengono giusti si chiudono alla parola di Dio, mentre coloro che sono giudicati mancanti si aprono all’ascolto e alla conversione. La parabola, lungi dall’essere un semplice racconto, diventa uno strumento per rivelare una verità scomoda e spingere l’uditore a un cambiamento interiore.

Gesù introduce due personaggi speculari: il figlio minore, che chiede la propria parte di eredità per vivere un’illusoria libertà, e il figlio maggiore, che rimane nella casa paterna, ma prigioniero di un senso del dovere che lo allontana dall’amore. Entrambi, pur in modi diversi, si allontanano dal padre: uno fisicamente, l’altro emotivamente.

Il figlio minore, dopo aver dissipato ogni bene, si ritrova solo e senza dignità. Nel momento più buio, il ricordo della casa paterna lo spinge a tornare, seppur con un’idea distorta del perdono: pensa di dover essere trattato come un servo. Il figlio maggiore, invece, si sente ingiustamente escluso dalla generosità del padre e rifiuta di partecipare alla festa per il ritorno del fratello.

Di fronte all’egoismo e all’orgoglio dei figli, il padre si distingue per il suo amore senza limiti. Rispetta la loro libertà, attende pazientemente il loro ritorno e li accoglie con immensa tenerezza. Le sue parole al figlio maggiore, “Tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”, rivelano il desiderio profondo di una comunione autentica.

Questa figura paterna rappresenta Dio, che non è un giudice severo, ma un Padre misericordioso. Il suo amore eccede ogni logica umana di giustizia e punizione, offrendoci un’immagine di accoglienza incondizionata e di desiderio di relazione. La parabola ci invita a riconoscere questo amore e a lasciarci trasformare, accogliendo l’altro con la stessa misericordia che riceviamo.

Gesù ci interpella: ci riconosciamo nel figlio minore, bisognoso di perdono, o nel figlio maggiore, prigioniero dell’orgoglio? La parabola ci chiama a un cambiamento di prospettiva: Dio non giudica secondo i meriti, ma secondo l’amore. Accogliere questa verità significa riscoprire la gioia della comunione con Lui e con i fratelli.




Il Vangelo della domenica, III domenica di Quaresima

Lc 13,1-9
Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Parola del Signore

COMMENTO: La parabola del fico (Lc 13,6-9) offre un’importante riflessione sulla vita spirituale del cristiano. Ognuno di noi può identificarsi con l’albero che cresce nella comunità cristiana, terreno fertile grazie ai sacramenti dell’iniziazione (Battesimo, Cresima, Eucaristia). Tra questi, l’Eucaristia assume un ruolo centrale: la Chiesa celebra l’Eucaristia e, al tempo stesso, l’Eucaristia costruisce la Chiesa, rendendo viva la presenza di Cristo nel mondo.
La celebrazione eucaristica, guidata dai ministri ordinati, è il mezzo attraverso il quale Cristo continua a operare nella storia. Lo Spirito Santo trasforma il pane e il vino nel corpo e sangue di Cristo e, contemporaneamente, rende Cristo presente tra i poveri e i sofferenti. La comunione eucaristica invita i fedeli a tradurre la fede in opere di misericordia, che rappresentano i frutti del fico della parabola.
Nonostante le grazie ricevute attraverso i sacramenti e la Parola di Dio, il cristiano corre il rischio di non portare frutto. Le radici della nostra anima possono essere tentate di cercare nutrimento in beni materiali e in un individualismo sterile, anziché nella fede e nella grazia divina. San Paolo ammonisce che, come il popolo di Israele nel deserto, possiamo allontanarci dalla promessa divina a causa dell’idolatria e della sfiducia.
Gesù ci avverte con parole forti: «Se non vi convertite, morirete tutti allo stesso modo!» (Lc 13,3b, 5b). La parabola del fico ci esorta alla conversione e alla gratitudine verso il vignaiolo, lo Spirito Santo, che lavora incessantemente per la nostra santificazione. Il sacramento della riconciliazione è lo strumento attraverso cui possiamo riscoprire la nostra vocazione a portare frutti di carità e amore, rinnovando il nostro impegno cristiano.
La pazienza del vignaiolo simboleggia la misericordia divina, che ci offre sempre la possibilità di tornare a Lui. La storia di Mosè, salvato e inviato come liberatore del popolo, dimostra che Dio non abbandona mai i suoi figli. La sua fedeltà supera il giudizio, invitandoci a rinnovare la nostra vita spirituale con fiducia.
La parabola del fico ci ricorda che la nostra vita cristiana non può restare sterile. Siamo chiamati a rispondere all’amore di Dio con opere concrete, nutrendo la nostra anima con la Parola e i sacramenti. Accogliere l’azione dello Spirito Santo significa diventare testimoni della carità e della misericordia divina nel mondo.




Il Vangelo della domenica, II di Quaresima

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Parola del Signore

COMMENTO: Ogni anno ripetiamo che la Quaresima è un cammino, ma ogni percorso ha una meta ben precisa: rivivere la Risurrezione nel mistero della Pasqua. Gesù conosce le difficoltà del discepolo e, per aiutarlo a comprendere il punto di arrivo, gli dona un assaggio della gioia finale.

Il mistero della Trasfigurazione, che meditiamo durante il tempo quaresimale, ha proprio questo scopo: farci comprendere che siamo chiamati alla felicità eterna. L’icona della Trasfigurazione ci parla di estasi e luce, con la presenza di Gesù, Mosè, Elia e i discepoli. In essa si racchiude tutta la storia della salvezza: l’Antico Testamento (rappresentato dal Patriarca e dal Profeta), il Nuovo Testamento (con Gesù, il Messia atteso) e la Chiesa (rappresentata dai discepoli, con Pietro come guida). Infine, la voce del Padre irrompe per indicare ancora una volta Gesù come punto di riferimento assoluto.

Alla fine del racconto evangelico, rimane solo Gesù. Il cammino prosegue con Lui come unica guida fino alla Pasqua, passando attraverso la dimensione della Passione. Non è semplice accettare che la vita del Figlio di Dio passi attraverso la sofferenza, ma proprio per questo la Trasfigurazione ci offre un momento di luce. Pietro stesso desidera fermare quell’istante, proponendo di costruire tre tende, ma la realtà è un’altra: il cammino conduce inevitabilmente al Calvario, dove Gesù, tra due malfattori, spalancherà le braccia sulla Croce per sconfiggere la morte e aprirci le porte del cielo con la Risurrezione.

La Quaresima ci invita a vivere questo tempo con fervore, senza perdere di vista il Crocifisso. Solo così potremo giungere alla Pasqua comprendendo che Cristo è morto e risorto per la nostra salvezza. Ci saranno momenti facili e altri più difficili, ma la costanza nella preghiera, nell’elemosina, nella confessione e nel digiuno ci farà sperimentare i frutti di questo percorso.

Essere fedeli a questi impegni significa mettersi alla scuola di Gesù, riconoscerlo e ascoltarlo, custodendo nel cuore i suoi insegnamenti. Con questo spirito, auguriamo a tutti una buona Quaresima e un buon cammino verso la Pasqua.




Il Vangelo della domenica, I domenica di Quaresima

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Parola del Signore

COMMENTO: Con l’inizio della Quaresima, il Vangelo ci invita a seguire Gesù nel deserto, un cammino spirituale spinto dallo Spirito Santo. Prima ancora di affrontare il tema delle tentazioni, emerge un’importante riflessione: il rischio di una vita troppo piena e sazia, che ci impedisce di ascoltare la voce interiore e le mozioni dello Spirito. Il deserto diventa così un luogo essenziale per esaminare il proprio cuore, discernere le scelte fondamentali e decidere da che parte stare.

Se non sentiamo il bisogno di fermarci e ascoltarci in questo tempo propizio, il racconto delle tentazioni di Cristo rischia di restare privo di impatto sulla nostra vita spirituale. Un autentico percorso di fede ci permette di riconoscere la voce del tentatore e, attraverso questa consapevolezza, di conoscere meglio noi stessi e il Signore.
Satana si avvicina a Gesù dopo un lungo digiuno e lo tenta proprio nel momento di maggiore debolezza. La prima prova riguarda la fame: il diavolo suggerisce a Gesù di trasformare le pietre in pane, sfruttando la sua identità divina. Ma la risposta di Cristo è chiara: “Non di solo pane vivrà l’uomo”. La vera fonte di vita non è il cibo materiale, ma la Parola di Dio.

La seconda tentazione tocca il desiderio di potere. Il diavolo mostra a Gesù tutti i regni della terra e gli promette il dominio su di essi in cambio della sua adorazione. Ma Gesù, fedele al Padre, rifiuta: l’unico a cui rendere culto è Dio.

Infine, la terza prova è la più sottile e ingannevole. Satana porta Gesù sul punto più alto del tempio e lo sfida a gettarsi giù, citando persino la Scrittura per giustificare il gesto. Ma Cristo smaschera il tranello: la fede non è mettere Dio alla prova, ma fidarsi di Lui.
Le tentazioni vissute da Gesù non sono solo episodi del passato, ma dinamiche che si ripetono nella vita di ogni credente. Il maligno cerca di deviare il cammino del discepolo, proponendogli scorciatoie basate sul potere, il possesso e l’apparenza, invece che sull’amore e il servizio.

La Quaresima è il tempo per scegliere, ogni giorno, quale strada percorrere: quella del mondo, che promette gloria e successo, o quella del Maestro, che conduce alla vera vita attraverso la fiducia in Dio.




Il Vangelo della domenica, VIII del tempo ordinario

Vangelo
Lc 6,39-45
La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

Parola del Signore

COMMENTO: Questa domenica è un’occasione particolare, perché raramente si celebra l’Ottava domenica del Tempo Ordinario, essendo solitamente interrotta dalla Quaresima. Cade inoltre nel pieno del Carnevale, una festa ricca di tradizioni e significati culturali, accomunata ovunque dall’elemento delle maschere.

L’usanza di mascherarsi affonda le radici nei Saturnali romani, festività in cui venivano ribaltate le gerarchie sociali. Con il tempo, la Chiesa ha cristianizzato questa tradizione, collocandola prima della Quaresima, periodo di riflessione e rinuncia, in cui si è chiamati a “gettare la maschera” e guardarsi dentro con sincerità.

Questo tema si riflette nel Vangelo di oggi, dove Gesù condanna l’ipocrisia: chi critica gli altri senza riconoscere i propri errori è come un attore mascherato che finge di essere ciò che non è. Anche il Siracide ammonisce a non lodare nessuno prima di ascoltarlo, poiché la verità si riconosce nelle parole e nelle azioni.

L’insegnamento che possiamo trarre è chiaro:

Dobbiamo giudicare le persone non dalle apparenze, ma dai loro atti.
È importante seguire guide sagge, evitando chi nasconde la propria identità dietro una maschera.
Prima di evidenziare i difetti altrui, dovremmo riconoscere i nostri limiti.
Il vero tesoro di una persona non è nelle ricchezze o nel potere, ma nel cuore, da cui scaturiscono le sue azioni.
Alla fine, il messaggio è semplice: il bene viene solo da un cuore buono. E quando il cuore opera con sincerità, la maschera cade.




Il Vangelo della domenica, VII del tempo ordinario

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Parola del Signore

COMMENTO: Nel Vangelo di Gesù, l’amore e il perdono sono presentati come principi fondamentali e imprescindibili per la nostra vita morale. Gesù stesso ha incarnato questi valori con l’esclamazione: “Padre, perdona loro, che non sanno quello che fanno”, mentre soffriva sulla croce, vittima di una crudeltà ingiustificata. Con il suo esempio, ci ha insegnato a rispondere al male con l’amore, alla persecuzione con il perdono, e alla cattiveria con la bontà.

Nel contesto dell’Antico Testamento, troviamo anche il racconto di Davide, che, pur avendo subito numerosi soprusi dal re Saul, non si vendicò mai. Quando ebbe l’opportunità di uccidere Saul, lo risparmiò, mostrando una grande nobiltà d’animo e rispetto verso il “consacrato del Signore”. Questo atto di misericordia è un esempio di amore verso il nemico che si estende anche ai primi cristiani, come testimoniato da Tertulliano che affermava: “Amare gli amici lo fanno tutti, amare i nemici lo fanno solo i cristiani.”

Gesù, nel suo insegnamento, ribadisce l’importanza di amare non solo chi ci ama, ma anche chi ci odia. Chiede di rispondere al male con atti di bontà, di ricambiare l’offesa con misericordia, e di trattare gli altri, anche i nemici, con rispetto. L’amore verso i nemici, lontano dalla vendetta, è un segno distintivo della vera fede cristiana. Gesù stesso ha vissuto questa radicale via dell’amore, invitando i suoi discepoli a non limitarsi a ciò che è comune e facile, ma ad andare oltre, praticando il bene anche verso chi ci fa del male.

Nonostante l’insegnamento di Gesù, il concetto di perdono non è sempre ben accolto, sia nel mondo antico che nel presente. Spesso, il perdono viene visto come una debolezza o una teoria irrealizzabile, soprattutto in situazioni di grande ingiustizia e dolore. Per una madre che ha perso un figlio in modo violento, o per chi ha subito umiliazioni e soprusi, il perdono appare quasi impossibile. Tuttavia, Paolo ci esorta a praticare il perdono e il bene come strumenti di lotta contro il male: “Non essere vinto dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,21).

L’amore che si risponde al male, senza cercare vendetta, può sembrare un eroismo incomprensibile agli occhi del mondo. Infatti, come affermava Oscar Wilde con ironia, “Perdona ai tuoi nemici, niente li fa arrabbiare di più.” Il vero cristiano è colui che, nonostante le ingiustizie, sa rispondere con amore, un amore che non si limita a parole, ma si traduce in azioni concrete.

Questo tipo di amore richiede un coraggio raro, un eroismo che può sembrare “stupido” o “insensato” agli occhi del mondo, ma che in realtà è il segno tangibile della nostra fede e della nostra adesione a Gesù Cristo. La fede ci invita a perdonare, non solo per una questione di moralità, ma per un’autentica identificazione con il sacrificio di Cristo, che ha perdonato i nostri peccati sulla croce.

Alla base di questa virtù sta la consapevolezza che il perdono ricevuto da Dio è il motore che ci spinge a perdonare gli altri. Se Dio ci ha perdonati, non possiamo fare a meno di estendere lo stesso perdono a chi ci ha offeso. La fede, dunque, ci aiuta a superare la logica umana e ad abbracciare quella divina, rendendoci capaci di amare anche chi ci ha fatto del male, come segno di vera identificazione con Cristo.




Il Vangelo della domenica, VI domenica del tempo ordinario

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,17.20-26
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.

Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Ottieni oggi una prova gratuita di apparecchi acustici! Non lasciare che la perdita dell’udito ti ostacoli. Guarda come Beati voi, che ora piangete, perché riderete.

Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.

Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.

Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.

Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Parola del Signore.
Lode a Te O Cristo

COMMENTO:  Il Vangelo è una parola potente e inafferrabile, un messaggio che sfugge anche a chi vi si dedica da decenni. È come un canto impossibile da ingabbiare, un mistero che continua a interrogarci. Nel cuore del messaggio evangelico troviamo un’affermazione sconvolgente: “Beati voi, poveri.” Non si tratta di un semplice capovolgimento della società, ma di una nuova architettura del mondo e delle relazioni umane. Gesù, nel suo annuncio, non promette un’alternanza di potere tra ricchi e poveri, ma un Regno che si fonda su valori diversi: la giustizia, l’amore e la pace. La felicità, dice il Vangelo, non appartiene a chi possiede, ma a chi rende il mondo migliore. I poveri non sono il problema del mondo, ma la sua speranza. I veri destinatari dell’avvertimento evangelico sono i ricchi: “Guai a voi, ricchi.” Non è una maledizione, ma il lamento di un Dio che vede i suoi figli smarrirsi dietro falsi idoli, inseguendo il vuoto anziché la vita vera.

Le Beatitudini non sono un ordine da eseguire, ma una promessa: Dio dona vita a chi ama, gioia a chi costruisce pace. È il Vangelo più radicale, eppure il più amico della vita. Un invito a guardare il mondo con gli occhi degli ultimi, perché solo così si può iniziare la guarigione del cuore e, con essa, la guarigione del mondo.




Il Vangelo della domenica, V del tempo ordinario

(Lc 5,1-11): In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.

Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

COMMENTO: La vocazione di ogni individuo nasce dall’amore e dalla fiducia che Dio ripone in noi. La Bibbia offre numerosi esempi di questa chiamata divina, evidenziando come Dio non scelga secondo i criteri umani di merito o capacità, ma secondo un disegno d’amore che supera ogni limite e inadeguatezza.

Uno degli esempi più emblematici è quello del profeta Isaia. Inizialmente, egli si sente perduto di fronte alla santità di Dio, consapevole della propria impurità. Tuttavia, Dio lo purifica e lo chiama a una missione speciale. La sua risposta, “Eccomi, manda me!”, testimonia la trasformazione che avviene quando si riconosce la predilezione divina. Isaia non viene scelto per le sue capacità, ma perché Dio ha deciso di affidargli un compito, equipaggiandolo per la missione.

Questo schema si ripete in molte altre chiamate bibliche, come quelle di Mosè e Gedeone. Inizialmente, ogni chiamato si sente indegno, ma la fiducia di Dio e il suo amore trasformano l’insufficienza umana in una risorsa per compiere il suo progetto.

Anche il Nuovo Testamento ci offre un esempio simile con Simone Pietro. Dopo una notte infruttuosa di pesca, incontra Gesù, il quale gli chiede di gettare nuovamente le reti. Nonostante le proprie perplessità, Simone obbedisce e si trova di fronte a una pesca miracolosa. In quel momento, riconosce la sua indegnità davanti al Signore, ma Gesù non guarda ai suoi limiti, bensì al suo cuore disposto all’ascolto e alla fiducia. Sarà proprio lui a diventare il “pescatore di uomini” e la guida della Chiesa.

Questi racconti sottolineano un principio fondamentale: Dio non sceglie secondo i criteri umani di competenza, ma secondo il suo amore. Non conta l’apparente inadeguatezza, ma la disponibilità ad ascoltare e accogliere la chiamata. Questo vale per ogni vocazione: dal sacerdozio al matrimonio, dalla missione alla vita professionale. Ciò che ci rende idonei alla chiamata divina non è il nostro curriculum, ma la nostra capacità di essere discepoli, ovvero di apprendere, ascoltare e lasciarci trasformare.

San Paolo ci ricorda che abbiamo ricevuto “uno spirito da figli adottivi” e che “siamo figli di Dio e suoi eredi” (Rm 8,15-17). Questa verità ci invita a fidarci dell’Amore divino che ci chiama e ci equipaggia per la missione a cui siamo destinati. Rispondere a questa chiamata con apertura e fiducia significa permettere a Dio di realizzare in noi il suo progetto, trasformando la nostra vita e quella di chi ci circonda.




Il Vangelo della domenica, presentazione del Signore

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

COMMENTO: La festa della Presentazione di Gesù al Tempio, celebrata quaranta giorni dopo il Natale, rievoca due eventi fondamentali: la purificazione di Maria, secondo la legge mosaica, e la presentazione del Bambino Gesù al tempio di Gerusalemme. Il Vangelo di Luca menziona la purificazione, ma si sofferma maggiormente sulla presentazione del Signore, sottolineando la fedeltà di Maria e Giuseppe alle prescrizioni religiose.

Secondo la legge ebraica, ogni primogenito maschio doveva essere consacrato al Signore (Levitico 12,1-8). Maria e Giuseppe, in osservanza di questa tradizione, portano Gesù al tempio e offrono il sacrificio previsto per i poveri: una coppia di tortore o giovani colombe, anziché un agnello e un colombo. Questo gesto non è solo un atto di obbedienza alla legge, ma anticipa simbolicamente l’offerta pasquale che Gesù farà di se stesso al Padre. Nel tempio, Gesù viene accolto da Simeone, un anziano giusto e timorato di Dio, ispirato dallo Spirito Santo. Egli riconosce nel Bambino il Messia atteso e proclama il celebre cantico del Nunc Dimittis, lodando Dio per aver visto la salvezza. Rivolgendosi a Maria, Simeone profetizza che Gesù sarà un segno di contraddizione e annuncia che “una spada trafiggerà l’anima” di sua madre. Questa spada è interpretata in due modi: come il dolore che Maria proverà nella passione e morte del Figlio, e come la Parola di Dio che penetra il cuore e trasforma l’anima. La Presentazione di Gesù al Tempio è conosciuta anche come la “Candelora”, in riferimento alla luce di Cristo che illumina le nazioni. Con il tempo, questa celebrazione è diventata la festa dei consacrati: uomini e donne che, attraverso i voti di castità, povertà e obbedienza, si offrono totalmente al Signore, seguendo l’esempio di Maria e Giuseppe. La loro vita consacrata diventa così una testimonianza luminosa della fede.

Questa festa ci invita a riscoprire il senso dell’offerta di noi stessi a Dio, accogliendo la sua volontà con fiducia e amore. Buona festa della Presentazione del Signore!




Il Vangelo della domenica, III domenica del tempo ordinario

(Lc 1,1-4;4,14-21): Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

COMMENTO: Luca, a differenza di Matteo e Giovanni, non conobbe Gesù di persona. Proveniente dal mondo pagano, divenne discepolo di Paolo, il quale lo chiamava “il caro medico” (Col 4,14). Fu grazie alla compagnia e all’amicizia di Paolo che Luca apprese il messaggio di Gesù dopo la sua ascensione al cielo. Tuttavia, la sua conoscenza indiretta non gli impedì di approfondire il Vangelo attraverso ricerche obiettive e accurate. Con questo spirito, scrisse il suo Vangelo dedicandolo all’amico Teofilo, impegnandosi a raccontare la verità dei fatti e non semplici leggende.

Luca si propone di presentare Gesù come il Dio che vive tra gli uomini e che porta una novità nelle loro vite. Nel capitolo 4 del suo Vangelo, identifica in Gesù colui che inaugura “l’anno di grazia del Signore”, un concetto ispirato al profeta Isaia (61,1-5). Questo periodo richiama il Giubileo ebraico, un tempo in cui venivano condonati i debiti e restituite le terre, simboleggiando la riconciliazione tra gli uomini e Dio. Per Luca, Gesù stesso è questo tempo di grazia, poiché egli dona la misericordia e la bontà divine agli uomini, invitandoli alla conversione e alla fede.

Tuttavia, la concezione di Gesù come portatore di amore universale contrastava con le aspettative dei Galilei, suoi concittadini, che attendevano un Messia giustiziere e vendicatore. Essi si aspettavano un leader che avrebbe ristabilito l’ordine e la giustizia per i poveri, mentre Gesù si presentava come testimone dell’amore e della misericordia di Dio. Questa discrepanza suscitò stupore e, successivamente, ostilità, portando i suoi connazionali a rifiutarlo.

Luca evidenzia come la verità dell’amore di Dio non sia limitata a una cerchia ristretta di persone, ma sia universale e aperta a tutti. La missione di Gesù instaura un nuovo ordine fondato sull’amore e sulla comunione con Dio Padre. Già nell’Antico Testamento, Neemia e il sacerdote Esdra annunciarono la Parola di Dio agli Israeliti, esortandoli alla gioia e alla fiducia nel Signore. Allo stesso modo, Gesù porta un messaggio di salvezza universale, promuovendo un nuovo sistema di convivenza umana basato sull’amore.

In questo “anno di grazia”, che coincide con il Giubileo inaugurato quest’anno, l’invito è quello di superare le vecchie concezioni della vita e accogliere con gioia la novità che la fede e la conversione comportano. Cristo diventa il modello di vita piena, offrendo libertà e responsabilità, promuovendo una convivenza basata sull’amore reciproco, fonte di autentica gioia e salvezza.




Il Vangelo della domenica, II domenica del tempo ordinario

Gv 2,1-11
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Parola del Signore

COMMENTO: Il Vangelo di oggi racconta le nozze di Cana, dove Gesù compie il suo primo segno, trasformando l’acqua in vino per salvare la festa di matrimonio da un momento di imbarazzo. Questo episodio, descritto nel Vangelo di Giovanni, non è solo un miracolo, ma un “segno” che rivela l’amore di Dio per l’umanità, rispondendo a un bisogno semplice e concreto. Maria, madre di Gesù, ha un ruolo centrale. Notando la mancanza di vino, si rivolge a Gesù con fiducia, dicendo ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. La sua determinazione e la sua capacità di leggere la situazione mostrano una figura forte e decisa, che anticipa l’intervento del Figlio.

I servitori, spesso figure sottovalutate, diventano partecipi del miracolo grazie alla loro obbedienza. Pur senza comprendere pienamente il significato delle istruzioni di Gesù, agiscono con fiducia, riempiendo le giare d’acqua e portandole al maestro di tavola. Questo gesto di fede silenziosa permette al “segno” di compiersi.

Il vino trasformato da Gesù non è solo abbondante, ma è il migliore, servito alla fine della festa, quando tradizionalmente si utilizzava il vino meno buono. Questo dettaglio simboleggia che Dio vuole il meglio per noi, offrendo una gioia piena e disinteressata, mai “annacquata”.

Giovanni non parla di “miracoli”, ma di “segni”: eventi che rivelano la tenerezza e la misericordia di Dio. A Cana, il segno manifesta l’attenzione di Gesù per i bisogni quotidiani delle persone comuni. È un gesto discreto, compiuto nel nascondimento, che alimenta la fede dei discepoli, aiutandoli a riconoscere in Gesù il volto di Dio.

L’episodio di Cana ci invita a riflettere sui segni che Dio compie ogni giorno nella nostra vita. Essi non sono sempre eventi straordinari, ma possono essere momenti semplici che ci fanno sentire la presenza di Dio e il suo amore per noi. Come Maria, siamo chiamati a essere attenti e a riconoscere questi segni, lasciandoci conquistare dalla gioia e dalla tenerezza divina.

Le nozze di Cana ci ricordano che Dio interviene per portare gioia e pienezza nelle nostre vite. Come Maria, i servitori e i discepoli, siamo invitati a fidarci di Lui, a fare tesoro dei suoi segni e a lasciare che il suo amore trasformi le nostre vite, proprio come l’acqua è stata trasformata nel vino migliore.




Il Vangelo della domenica, battesimo del Signore

Vangelo
Lc 3, 15-16. 21-22
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

COMMENTO: Il cristiano, attraverso i sacramenti, vive un cammino di unione profonda con Cristo. Inserito in Lui mediante il Battesimo, è chiamato a lottare per la fede con la forza della Cresima, ad agire nel mondo partecipando alla funzione regale, profetica e sacerdotale di Cristo, e a unirsi a Lui pienamente nell’Eucaristia, sacramento dell’unità e dell’amore. Questa intima relazione con Cristo si traduce in un’esistenza vissuta per il bene degli altri, guardando con amore ogni persona e l’intera umanità. La fede cristiana non è solo una credenza interiore, ma si manifesta concretamente nelle azioni. Riconoscere Cristo come Dio e Salvatore significa identificarsi con Lui e operare come Egli ha operato. L’episodio evangelico di Tommaso, che crede dopo aver visto le piaghe del Risorto, culmina nelle parole di Gesù: “Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno” (Gv 20,29). San Gregorio Magno sottolinea che questo invito si rivolge a noi, che possediamo Cristo spiritualmente senza averlo visto fisicamente. Tuttavia, la vera fede richiede che le azioni siano coerenti con ciò che si crede. San Paolo ammonisce coloro che si limitano a professare la fede a parole senza viverla nei fatti, dicendo: “Dicono di conoscere Dio, ma lo negano con le opere”. È solo attraverso una fede vissuta con autenticità e amore che il cristiano realizza pienamente la sua vocazione nel mondo.




Il Vangelo della domenica, II domenica dopo Natale

Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

Parola del Signore.

COMMENTO: Il Prologo del Vangelo di Giovanni, spesso riproposto durante il tempo natalizio, ci invita a immergerci nel mistero del Natale e a comprenderne l’essenza: Gesù Cristo, la “luce vera” che illumina ogni uomo, è il Verbo che si è fatto carne e ha scelto di abitare in mezzo a noi. Questo testo liturgico mira a farci andare oltre le luci e gli ornamenti di questo periodo, per riconoscere in Gesù la manifestazione tangibile di Dio: un Dio che si fa uomo, si fa vicino, condividendo le sofferenze e le gioie dell’umanità.

La nascita di Gesù rivela una scelta radicale da parte di Dio: Egli si manifesta nella povertà e nell’umiltà. Come racconta il Vangelo di Luca, il Figlio di Dio nasce in una stalla, adagiato in una mangiatoia, perché non c’era posto per lui altrove. Questa condizione di povertà non è casuale, ma voluta: è l’espressione di un amore infinito che spinge Dio a spogliarsi della sua gloria per diventare uno di noi. Come scrive san Paolo: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9).

Questa realtà ci invita a riflettere sull’umiltà e la povertà come strumenti di redenzione. Il cantico natalizio Tu scendi dalle stelle, di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, esprime poeticamente questa verità: la povertà di Gesù è il segno di un amore che si dona interamente.

La Liturgia ci chiama a contemplare il mistero dell’Emmanuele, “Dio con noi”, un Dio che pianta la sua tenda in mezzo agli uomini non più come presenza provvisoria, ma per sempre. Egli ci accompagna nella nostra quotidianità, perdona e ama, offrendoci la possibilità di essere suoi figli.

In questo Natale, dunque, chiediamo al Padre di aprire gli occhi del nostro cuore, per accogliere la luce del Figlio unigenito e vivere nella gioia e nella semplicità di chi si sa amato.




Il Vangelo della domenica, Santa famiglia di Gesù, Maria, Giuseppe

Lc 2,41-52
Gesù è ritrovato dai genitori nel tempio in mezzo ai maestri.

Dal Vangelo secondo Luca

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Parola del Signore

COMMENTO: La vita familiare di Gesù, Maria e Giuseppe è avvolta dal silenzio, eccezion fatta per un episodio narrato nel Vangelo: il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme per la Pasqua, durante il quale Gesù, dodicenne, si smarrisce e viene ritrovato nel Tempio. Questo racconto non è solo cronaca, ma una profonda riflessione teologica che invita a guardare oltre il dato storico. Luca narra come Maria e Giuseppe perdano di vista il figlio e vivano giorni d’angoscia prima di ritrovarlo tra i maestri del Tempio. Questo smarrimento non è solo fisico, ma simbolico: rappresenta il difficile distacco che ogni genitore deve affrontare, accettando che il proprio figlio appartenga prima di tutto a Dio. Gesù, consapevole della sua missione, afferma con fermezza: «Devo occuparmi delle cose del Padre mio». Una frase che segna una rottura, ma anche un passo verso la maturità.

Luca tace sui trent’anni di vita ordinaria a Nazareth, trascorsi da Gesù accanto a Maria e Giuseppe. Questa “vita nascosta” è un messaggio potente: la santità si costruisce nella normalità. La famiglia di Nazareth ci insegna che anche i gesti più semplici – cucinare, lavorare, prendersi cura l’uno dell’altro – possono essere permeati di vangelo. Gesù non inizia subito la sua missione pubblica. Prima di tutto, apprende la vita dagli esempi di Maria e Giuseppe, figure che incarnano le beatitudini nella loro purezza di cuore, mitezza e misericordia. È nella quotidianità, tra giochi e stoviglie, che si forma la familiarità con Dio. Dio ha scelto per Gesù una famiglia umana come unico “bagaglio” per venire al mondo. Questo sottolinea che la famiglia è il luogo fondamentale dell’uomo, spazio di crescita, amore e fede. La famiglia di Nazareth è santa non per miracoli spettacolari, ma perché centrata su Gesù. La vita ordinaria è il tempo delle scelte decisive. Essere veri cristiani significa rendere i gesti quotidiani, anche i più banali, un riflesso del vangelo. Il Dio che ha vissuto tra stoviglie e rimproveri ci ricorda che nulla sulla terra può essere un ostacolo verso il cielo. La famiglia di Nazareth ci chiama a scoprire la bellezza della fede nella semplicità e a mettere Cristo al centro della nostra vita quotidiana.




Il Vangelo, Natale del Signore

Lc 2,1-14
Oggi è nato per voi il Salvatore.

Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Parola del Signore

COMMENTO: Le letture della Liturgia del Natale offrono immagini e parole di straordinaria bellezza, guidandoci a comprendere il significato profondo della nascita di Cristo. Tra i protagonisti emerge il profeta Isaia, le cui parole evocative ci accompagnano fin dall’Avvento: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” e “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”. Sono espressioni che riecheggiano nei cuori dei credenti, così come i racconti evangelici di Luca e Matteo, che hanno ispirato nei secoli la rappresentazione della Natività, da San Francesco fino ai nostri giorni.

Per chi desidera approfondire il mistero divino, il prologo del Vangelo di Giovanni offre una prospettiva unica sull’Incarnazione del Verbo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Un messaggio che diventa il cuore della festa e che ci invita a riflettere sulla presenza viva di Dio tra gli uomini.

Tra i testi natalizi, uno spunto particolare proviene dalla lettera di Paolo a Tito. Qui si descrive la nascita di Cristo come “l’apparizione della grazia di Dio” che porta salvezza e insegna a vivere con sobrietà, giustizia e pietà. Questo passaggio pone l’accento su una virtù centrale per il Natale e per il Giubileo: la Speranza.

Papa Francesco, dedicando il Giubileo alla Speranza, ci invita a riscoprirla come una forza essenziale non solo per la fede, ma per la stessa umanità. In un mondo segnato da guerre e crisi, la Speranza diventa ciò che ci impedisce di soccombere al caos e ci orienta verso un futuro di salvezza e pace.

San Paolo ci indica due atteggiamenti da abbandonare e tre virtù da coltivare per vivere autenticamente il Natale:

Rinunciare all’empietà e ai desideri mondani, che distolgono dal senso profondo della festa. Non c’è Natale autentico se rimaniamo intrappolati nella superficialità di regali, luci e abbondanza materiale.
Adottare sobrietà, giustizia e pietà, ossia vivere con essenzialità, rispettare gli altri e agire con amore. Questi atteggiamenti danno forma concreta alla Speranza e ci riconducono al cuore del messaggio natalizio: l’Amore come forza capace di trasformare il mondo.
Quest’anno, dunque, lasciamo che la Speranza illumini il nostro cammino e ci guidi verso un Natale vissuto con autenticità e profondità. Buona Speranza e Buon Natale!




Il Vangelo della domenica, IV domenica di Avvento

Lc 1,39-45
A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Parola del Signore

COMMENTO: L’ultima domenica di Avvento ci offre un’immagine straordinaria: Maria, giovane madre in attesa del Redentore, si reca in visita alla cugina Elisabetta. Questo episodio evangelico, ricco di significati teologici, pedagogici e umani, invita a fare del Natale una festa di incontro e vicinanza, soprattutto verso i più fragili.

Maria, una ragazza di appena 16 anni, porta nel grembo il Figlio di Dio, concepito per opera dello Spirito Santo. Nonostante la sua giovane età, si mette in viaggio verso la regione montuosa di Giuda per raggiungere Elisabetta, ormai anziana, che miracolosamente aspetta un figlio: Giovanni Battista, il precursore di Cristo. Il gesto di Maria è immediato, concreto e generoso, sottolineato dall’evangelista Luca, che descrive come “si alzò e andò in fretta”.

All’arrivo, il saluto affettuoso di Maria riempie Elisabetta di Spirito Santo e provoca un momento straordinario: il bambino nel grembo di Elisabetta, Giovanni, sussulta di gioia. In risposta, Elisabetta proclama Maria “benedetta fra le donne” e il bambino che porta nel grembo “benedetto”. Con stupore, Elisabetta si domanda: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?” La visita, inattesa ma profondamente gradita, diventa un’occasione di gioia e gratitudine.

Elisabetta riconosce in Maria la beatitudine di chi crede nell’adempimento delle promesse di Dio. Questo incontro si collega direttamente al mistero dell’Incarnazione: non è solo Maria a visitare Elisabetta, ma anche Gesù, già presente e in formazione nel grembo della giovane madre. È un segno dell’amore divino che si manifesta nella concretezza delle relazioni umane.

In questa vigilia di Natale, l’episodio ci invita a riflettere sulla bellezza dell’incontro e sull’importanza di accogliere gli altri, specialmente i più vulnerabili. Come Maria e Giuseppe, pienamente coinvolti nel progetto di redenzione divina, siamo chiamati a portare speranza e amore, lasciandoci guidare dalla luce del Dio fatto carne. Questo è il cuore del Natale: un mistero che illumina ogni cuore di buona volontà.