Il Vangelo della domenica, III domenica di Avvento

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Parola del Signore

COMMENTO: La terza domenica di Avvento, conosciuta come Gaudete, invita alla gioia per l’imminente visita del Salvatore. Il Vangelo del giorno presenta Giovanni Battista, che esorta le folle a preparare il cuore per accogliere Dio. Riprendendo il libro della consolazione di Isaia (Is 40), Giovanni invita a “raddrizzare” i sentieri del cuore, lasciando che Dio trasformi pensieri, sentimenti e relazioni. È un appello alla conversione autentica, un cammino che richiede giustizia e ordine interiore.

Tre gruppi rivolgono a Giovanni la stessa domanda: “Cosa dobbiamo fare?” Alle folle, Giovanni raccomanda la condivisione, invitando a vestire chi è nudo e a sfamare gli affamati, superando l’egoismo dell’accumulo. Ai pubblicani e ai soldati, chiede giustizia: evitare abusi, estorsioni e vivere con sobrietà. La preparazione alla venuta del Re divino passa per un impegno concreto di purificazione e correzione personale, costruendo relazioni fondate sulla solidarietà e sull’amore fraterno.

Giovanni sottolinea che il cambiamento del mondo nasce dal cuore di Dio ma richiede la nostra volontà di conversione. Questa volontà si realizza nell’apertura al progetto salvifico e misericordioso divino. Giovanni, con il suo battesimo di acqua, prepara la strada al Cristo, che porterà il battesimo nello Spirito Santo, capace di purificare il cuore umano in profondità. Solo Gesù può trasformare la storia, unendo misericordia e giustizia, e cambiando i cuori di pietra in cuori di carne.

L’appello finale è chiaro: spalanchiamo le porte del cuore al Signore, per accoglierlo e lasciarci rinnovare dal Suo Spirito, l’unico che può rendere nuove le relazioni umane e la faccia della terra.




Il Vangelo della domenica, Immacolata concezione della Beata Vergine Maria

Lc 1,26-38
Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Parola del Signore

COMMENTO: L’8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione, ci invita a riflettere sulle origini dell’umanità e sulla promessa di salvezza che si intreccia alla caduta nel peccato originale. Nel paradiso terrestre, l’uomo fu creato senza peccato e dotato di doni preternaturali, ma la tentazione di Satana portò alla ribellione contro Dio, dando origine al peccato. Tuttavia, proprio in quel luogo ebbe inizio la storia della redenzione: Dio promise che dalla donna sarebbero rinati la vita e la speranza.

Maria, la Madre di Gesù, è l’unica tra gli esseri umani ad essere stata preservata dal peccato originale e da ogni altra colpa. Questa prerogativa unica non derivò da sue qualità personali, ma dai meriti di Cristo, il Redentore. Il dogma dell’Immacolata Concezione fu definito ufficialmente da Papa Pio IX nel 1854, quasi due millenni dopo la nascita di Cristo, e divenne subito un pilastro della fede cattolica.

La devozione a Maria Immacolata si diffuse rapidamente, sostenuta da pratiche come la novena e dalla nascita di numerose associazioni laicali e religiose. Alla base di questo dogma vi è il mistero dell’Annunciazione: l’arcangelo Gabriele definì Maria “piena di grazia”, una verità biblica e teologica che ha condotto alla proclamazione del dogma. Maria, completamente immersa nella grazia divina, è il tabernacolo purissimo di Dio, venerata dai fedeli come “la tutta pura e bella”.

Nel racconto evangelico, Maria diviene simbolo di fede e abbandono alla volontà divina. Il suo “fiat” all’annuncio dell’arcangelo Gabriele segna l’inizio della salvezza, rendendo possibile l’incarnazione del Redentore. Nello stesso episodio, viene rivelato il miracolo della nascita di Giovanni Battista, figlio dell’anziana Elisabetta, ulteriore testimonianza della potenza divina.

Questa ricorrenza è un invito a riscoprire l’amore, la purezza e la santità della vita. Maria Immacolata rappresenta un messaggio di gioia e speranza: nulla è impossibile a Dio, e in Maria si manifesta il potere dell’amore assoluto. La Madre Immacolata di Gesù e dell’umanità intera è un modello unico e irripetibile, guida sicura verso il cielo e l’eternità.




Il Vangelo della domenica, I domenica di Avvento

Dal Vangelo secondo Luca In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.
Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Parola del Signore

COMMENTO:  L’Avvento, che significa “venire”, è per i cristiani un periodo di attesa e speranza, sintetizzato nell’invocazione biblica: «Maranathà, vieni Signore!». Questo tempo liturgico ci prepara a celebrare il Natale, la venuta di Gesù Cristo, il Re dell’Universo e il compimento delle profezie dell’Antico Testamento.

La nascita di Gesù a Betlemme, discendente della casa di Davide come attestano le genealogie evangeliche, realizza le promesse divine, descritte anche dal profeta Geremia: un «germoglio giusto» che porta giustizia e salvezza. Per i cristiani, Cristo è «Signore, nostra giustizia», un richiamo alla misericordia e alla fedeltà di Dio, che offre la salvezza attraverso l’incarnazione, la croce e la resurrezione di Gesù.
Il messaggio di Cristo come Signore, nostra giustizia è messo alla prova nel mondo moderno, dove idolatrie come il denaro, l’esaltazione dell’ego e il culto della scienza e della tecnologia stanno polarizzando l’umanità. Tali idolatrie alimentano conflitti, disastri ecologici e minacce di guerre globali, riflettendo un rifiuto del messaggio di speranza e giustizia portato da Gesù.
Il tempo di Avvento invita i cristiani a essere testimoni vivi della giustizia e dell’amore di Dio, costruendo relazioni basate sul rispetto e sulla gratuità. La Chiesa, vista come una «Gerusalemme» collettiva, è chiamata a riflettere la luce di Cristo, contrastando il consumismo sfrenato e ritrovando il vero significato del Natale.
Le parole del Vangelo ci esortano a vigilare contro gli affanni della vita e a rimanere saldi nella preghiera, pronti ad accogliere il ritorno di Cristo. L’apostolo Paolo ci ricorda che l’amore fraterno e la santità sono segni della nostra fedeltà al Signore.




Il Vangelo della domenica, XXXIV del tempo ordinario

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Parola del Signore

COMMENTO: Con la Solennità di Cristo Re dell’Universo, introdotta da Pio XI nel 1925, si chiude l’anno liturgico e se ne apre uno nuovo. Questa celebrazione ricorda che Cristo, il Figlio di Dio incarnato, crocifisso e risorto, è il Signore assoluto del cosmo e della storia. Egli, che ha vissuto come uomo umile, predicando amore e misericordia, operando miracoli e proclamando le Beatitudini, è il Re indiscusso a cui ogni creatura è sottomessa.

Cristo non è solo un modello di umanità perfetta, ma anche il Dio vivente, co-creatore con il Padre e lo Spirito Santo. La sua regalità si fonda su una verità profonda: non si tratta di un dominio terreno, ma di un regno spirituale che interpella il cuore umano. Gesù stesso dichiarò a Pilato: “Il mio regno non è di questo mondo”. Non cercava potere politico o militare, ma venne a testimoniare la verità, rivelando il volto di Dio come amore assoluto e misericordia infinita.

La verità di Cristo non è solo rivelazione di Dio, ma anche del senso più autentico dell’essere umano. È una luce che invita alla conversione e libera chi sceglie di vivere in Cristo, accogliendone i messaggi evangelici di amore e salvezza. In questo regno, che San Paolo descrive come “giustizia, pace e gioia nello Spirito” (Rm 14, 17-18), l’uomo scopre la chiamata a un servizio radicale verso il prossimo, per costruire un mondo fondato sulla solidarietà e sulla concordia.

Il regno di Cristo supera ogni forma di governo terreno, non imponendosi con la forza, ma trasformando l’uomo dall’interno. Nessun regime umano, per quanto giusto, può operare tale rinnovamento spirituale. La regalità di Cristo invita invece a un cambiamento personale e collettivo, che si realizza nell’amore e nel dono totale di sé, come esemplificato dallo stesso Gesù.

Grazie al battesimo, anche i fedeli partecipano a questa regalità, chiamati a vivere secondo l’unzione ricevuta, servendo gli altri e testimoniando il primato di Cristo nella storia. La regalità di Cristo non appartiene al tempo, ma è universale e senza fine, un modello che illumina il cammino dell’umanità verso la vera libertà e la pace duratura.




Il Vangelo della domenica: XXXIII del tempo ordinario

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

Parola del Signore

COMMENTO: La liturgia di oggi propone temi complessi, intrecciando profezie apocalittiche e riflessioni sulla giustizia divina. Nel Vangelo, Gesù, conversando con Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, annuncia la distruzione del Tempio di Gerusalemme, simbolo della caducità delle opere umane. La profezia si concretizza nel 70 d.C. con la distruzione del Tempio e la persecuzione dei cristiani sotto Nerone, ma allude anche ai “tempi ultimi”, segnati da eventi cosmici e dalla fine del male.

Parallelamente, il profeta Daniele, nel capitolo 12, parla della giustizia di Dio e della liberazione del suo popolo dopo una grande tribolazione. La figura del “principe Michele” rappresenta un segno di speranza per i Giudei oppressi, mentre l’annuncio della resurrezione finale prefigura il giudizio universale: una ricompensa per i giusti e una condanna per gli empi.

Sebbene il linguaggio apocalittico possa apparire inquietante, il suo messaggio centrale è di speranza: la vittoria definitiva di Dio e della giustizia. Il giudizio finale sancirà il trionfo del bene, senza mutare la sorte già decisa al momento della morte (Paradiso, Inferno o Purgatorio). Il Cristo che incontreremo nel giudizio è lo stesso che, durante la sua vita terrena, ha mostrato amore e misericordia anche davanti alla persecuzione e alla maldicenza.

La figura di Gesù, giudice misericordioso, invita a vivere senza paura del giudizio, ma con consapevolezza e fiducia. La sua presenza risorta è già tra noi, misteriosa ma reale, e ci sprona a costruire oggi una società più giusta e pacifica, vincendo il male con il bene.

In questo tempo presente, siamo chiamati a esercitare fede e speranza, guardando al domani con fiducia. Il giudizio finale non è un motivo di sgomento, ma un’opportunità per raccogliere i frutti di una vita vissuta nel bene. Come affermava San Giovanni Bosco, “Lavorare oggi per non dover arrossire domani”, vivendo con impegno e creatività per costruire una vita migliore, qui e ora, in vista dell’incontro definitivo con il Signore.




Il Vangelo della domenica, XXXII del tempo ordinario

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Parola del Signore.

COMMENTO: La Liturgia della Parola di questa domenica ci propone come modelli di fede due figure di vedove, tratte dal Primo Libro dei Re e dal Vangelo di Marco. Entrambe sono in condizioni di povertà estrema e dimostrano la loro fede in Dio attraverso gesti di generosità. La prima vedova, incontrata dal profeta Elia, pur avendo solo un po’ di farina e olio, accoglie la richiesta del profeta e viene ricompensata da Dio, che non le fa mancare il necessario. La seconda vedova, osservata da Gesù nel tempio, offre le sue ultime due monete al tesoro, mostrando una dedizione completa e sincera a Dio, ben diversa dall’elemosina fatta dai ricchi del superfluo.

Questi due episodi biblici sottolineano che la vera fede consiste nell’affidarsi completamente a Dio, offrendo con gratuità anche quel poco che si possiede, senza calcoli né ostentazioni. Nella società antica, la condizione di vedovanza rappresentava una situazione di grande fragilità e bisogno, che Dio prendeva a cuore. Tuttavia, come ci insegna la Bibbia, l’aiuto divino non basta: è necessaria una risposta libera e consapevole di fede, unita alla carità verso il prossimo.

Il Vangelo evidenzia anche il contrasto tra la vedova e gli scribi, rappresentanti di una società che ostenta ricchezza e autorità, spesso a discapito dei poveri e con atteggiamenti di vanità religiosa. Gesù condanna questa ipocrisia, esaltando la figura della vedova come esempio di umiltà e di fede autentica, indicandola ai discepoli come un modello di vita cristiana. L’insegnamento di Gesù è chiaro: Dio non valuta la quantità di ciò che doniamo, ma la purezza delle intenzioni. Come afferma San Leone Magno, “sulla bilancia della giustizia divina non si pesa la quantità dei doni, ma il peso dei cuori”.

Questa riflessione ci invita a superare il formalismo e il desiderio di apparire, per ritrovare un rapporto genuino con Dio, ispirato dalla gratuità dell’amore di Cristo. La Vergine Maria, che disse “Eccomi” all’Angelo, è per tutti noi un modello perfetto di fede e generosità.




Il Vangelo della domenica, XXXI del tempo ordinario

Mc 12,28-34
Amerai il Signore tuo Dio. Amerai il prossimo tuo.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Parola del Signore

COMMENTO: L’insegnamento di Gesù sul “più grande comandamento” è al centro della riflessione di questa domenica. Alla domanda su quale sia il comandamento più importante, Gesù risponde con le celebri parole: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente… e amerai il prossimo tuo come te stesso». Questi due comandamenti riassumono e uniscono l’amore per Dio e per il prossimo, evitando il rischio di un culto distante e di una solidarietà effimera, slegati da una prospettiva di fede.

Secondo la tradizione ebraica, i comandamenti erano inizialmente 613, poi ridotti da diversi profeti a un numero minore, fino a uno solo da parte di Abacuc: «Il giusto vivrà per la sua fede». Gesù, con la sua risposta, richiama le Scritture: da Deuteronomio 6, con il comando di amare Dio con tutto se stessi, e da Levitico 19, con l’invito a non portare rancore e ad amare il prossimo come se stessi. Questi due comandamenti, inseparabili e interdipendenti, rappresentano un orientamento chiaro per la vita cristiana: amare Dio implica l’amore verso gli altri, un amore che va oltre il proprio gruppo sociale o famigliare.

Nel pensiero ebraico, anche il concetto di “prossimo” si è evoluto, passando dall’essere riferito solo ai connazionali al comprendere ogni essere vivente. Come insegnato nel Siracide, la misericordia di Dio si estende a tutti, mentre quella dell’uomo riguarda il prossimo. Questo amore per il prossimo non esclude l’attenzione per chi ci è vicino ma estende il cuore anche ai più lontani.

Infine, l’amore verso Dio è una risposta all’amore che Dio ha già donato: possiamo amare perché siamo stati amati per primi. La recente festa dei Santi ci ricorda esempi di persone che, consapevoli di questo amore divino, lo hanno trasmesso agli altri attraverso le loro vite, rispondendo con dedizione alla chiamata cristiana anche nelle difficoltà. Questi uomini e donne sono modelli di come, attingendo da Dio, possiamo essere portatori di amore verso tutti.




Il Vangelo della domenica, XXX del tempo ordinario

Mc 10,46-52
Rabbunì, che io veda di nuovo!

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Parola del Signore

COMMENTO: Nella XXX domenica del tempo ordinario, il Vangelo ci guida alla Solennità di tutti i Santi e alla Commemorazione dei Defunti, giorni in cui la preghiera si intensifica per ricordare chi ci ha lasciati. Il Vangelo racconta la guarigione del cieco Bartimeo, avvenuta mentre Gesù, seguito dai discepoli e dalla folla, lasciava Gerico in direzione di Gerusalemme. Bartimeo, un mendicante cieco, inizia a gridare verso Gesù chiedendo pietà e riconoscendolo come “figlio di Davide,” un segno della sua fede profonda. Nonostante le rimostranze della folla, Bartimeo non smette di chiedere, manifestando la sua volontà di essere guarito, e infine Gesù si ferma e lo chiama a sé.

Gesù, sempre attento e compassionevole, gli chiede cosa desideri. Bartimeo risponde che vuole riacquistare la vista, rivelando che non era cieco dalla nascita ma aveva perso la vista in seguito a un evento traumatico. Gesù, riconoscendo la fede sincera dell’uomo, lo guarisce. La sua vista è restituita e, per gratitudine, Bartimeo sceglie di seguire Gesù, riconoscendo che il dono della vista lo ha reso consapevole di una verità spirituale più profonda.

L’episodio di Bartimeo ci invita a riflettere sulla nostra fede e sulla necessità di affidarsi pienamente a Dio, anche nei momenti di difficoltà. Così come Bartimeo, che trasforma la sua vita grazie all’incontro con Gesù, anche noi possiamo trovare ispirazione per rinnovare la nostra visione interiore, seguendo l’insegnamento evangelico e abbracciando con fede la presenza divina.




Il Vangelo della domenica, XXIX del tempo ordinario

Mc 10,35-45
Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Parola del Signore.

COMMENTO: Gesù, in cammino verso Gerusalemme, annuncia per la terza volta ai suoi discepoli la sua imminente passione, morte e risurrezione. In questo momento cruciale, due dei discepoli si avvicinano, non per offrire sostegno, ma per chiedere i posti di maggior prestigio nel regno che credono Egli stia per instaurare. La loro richiesta riflette una comprensione errata della gloria e del potere, che viene percepito come dominio sugli altri. Tuttavia, questo desiderio di grandezza non è esclusivo dei discepoli: tutti, in qualche modo, aspirano a realizzarsi e a distinguersi. Se però questo desiderio si distorce, può diventare ambizione e sete di potere, che porta a divisioni, rivalità e conflitti, non solo nella società, ma anche all’interno della comunità credente.

Gesù risponde trasformando il loro desiderio mal indirizzato in un insegnamento fondamentale. Spiega che la vera grandezza non sta nel dominare, ma nel servire: “Chi vuol essere il primo, si faccia servo degli altri”. Gesù invita i suoi discepoli a comprendere che il vero valore si trova nel servizio, nell’amore e nel dono di sé. Solo vivendo in questa maniera si può sperimentare una vita piena, libera dall’egoismo e autenticamente grande.

Questo insegnamento è stato ripreso anche da Papa Francesco, che ha dichiarato: “Chi non vive per servire, non serve per vivere”. Gesù stesso ha incarnato questo stile di vita: non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita per il bene di molti. La sua croce rappresenta il culmine della vera potenza, che non è nella forza o nel dominio, ma nell’amore, nel sacrificio e nel perdono.

Infine, il testo invita a riflettere sulla natura della gloria che cerchiamo: è la gloria passeggera e vana del mondo o quella duratura dell’amore e del servizio agli altri?

 




Il Vangelo della domenica, XVIII del tempo ordinario

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

Parola del Signore.

COMMENTO: Il Vangelo di questa domenica ci invita a riflettere sulla sfida del seguire Gesù, un cammino che richiede un profondo cambiamento interiore. Gesù non si accontenta dell’osservanza della legge o dei comandamenti, ma chiede un distacco radicale dai beni materiali, un impegno verso la povertà e la fraternità. L’invito di Gesù è chiaro: “Vendi quello che hai, dallo ai poveri e seguimi”. Questi tre elementi — povertà, fraternità e sequela — sono strettamente interconnessi e necessitano di essere vissuti in armonia per dare fecondità alla vita cristiana.

Il racconto del giovane ricco ci offre un esempio concreto di come Gesù ribalti le logiche religiose comuni. L’uomo chiede cosa deve fare per “avere” la vita eterna, ma Gesù sposta la questione sul piano del “condividere” e del “seguire”. Ci troviamo di fronte a due visioni opposte: da un lato, la logica del guadagno e della conquista, dall’altro, la logica di Gesù, fondata sul dono, sulla fiducia e sull’amore gratuito.

Tuttavia, l’uomo ricco non riesce a fare questo salto di qualità. Pur avendo sentito la forza della parola di Gesù, si allontana triste, incapace di fidarsi completamente. La sua tristezza rappresenta la delusione di chi non riesce a lasciarsi andare con fiducia alla chiamata del Vangelo, rimanendo bloccato dalle proprie sicurezze materiali.

 

4o



Il Vangelo della domenica, XXVII del tempo ordinario

Mc 10,2-16
L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

Parola del Signore.

COMMENTO: L’episodio evangelico di oggi narra due momenti distinti: il primo vede i farisei che avvicinano Gesù per metterlo alla prova sul tema del divorzio; il secondo riguarda l’incontro tra Gesù e alcuni bambini portati da Lui per ricevere la benedizione. Tutto avviene mentre Gesù si dirige verso Gerusalemme.

I farisei, come in altre occasioni, cercano di tendergli un tranello, interrogandolo sulla liceità del divorzio. Non sono realmente interessati alla sua opinione, ma vogliono metterlo in difficoltà. Gesù, però, non si schiera apertamente, ma risale alla volontà di Dio, ricordando che il matrimonio è pensato come un’unione indissolubile, un riflesso dell’amore eterno di Dio per l’umanità. Questo amore richiede impegno, pazienza e sacrificio, caratteristiche difficili da vivere appieno per la fragilità umana. Tuttavia, con l’aiuto della grazia divina, è possibile vivere questo ideale, anche se non sempre in modo perfetto.

Il divorzio, pur essendo una triste realtà, non corrisponde al progetto originario di Dio, che desidera che le relazioni umane siano fondate sull’amore, la riconciliazione e il perdono. Questo vale non solo per il matrimonio, ma per ogni tipo di relazione. Amare gli altri, infatti, richiede spesso la capacità di rinunciare al proprio egoismo, di ascoltare e comprendere l’altro, specialmente nelle situazioni di convivenza quotidiana.

Nel secondo episodio, alcuni bambini vengono portati a Gesù affinché li benedica. I discepoli si oppongono, pensando che l’iniziativa non sia adeguata, ma Gesù li rimprovera. Egli, infatti, vede nei bambini un esempio di come accogliere il Regno di Dio: con semplicità, gioia e stupore. Anche i piccoli, così come gli emarginati, hanno un posto speciale nel cuore di Dio.

Gesù invita tutti a ricevere il dono del Regno con lo stesso spirito dei bambini: accogliendolo con fiducia, purezza e meraviglia.

 

 

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Il Vangelo della domenica, XXVI del tempo ordinario

Mc 9,38-43.45.47-48
Chi non è contro di noi è per noi. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

Parola del Signore

COMMENTO: Nel Vangelo di Luca si evidenzia come Gesù abbia sperimentato le stesse tentazioni che viviamo noi, seguendo un percorso di maturazione graduale. Queste tentazioni iniziano con l’attaccamento ai beni materiali, per poi passare ai bisogni affettivi che, spesso, vengono vissuti come forme di possesso e controllo. In questa seconda fase, l’amore di Dio agisce su di noi, guarendo le ferite e liberandoci dalle ansie, dai limiti mentali e dai pregiudizi, portandoci a una serenità e leggerezza interiori.

Il vero cambiamento avviene non attraverso il moralismo o il rispetto di regole astratte, ma grazie all’amore di Dio che, con il tempo, ci fa rinascere. Quando scopriamo che Dio comprende la nostra storia e ci guarda con amore e fiducia, impariamo a stare meglio con noi stessi, con gli altri e con Lui. Anche quando raggiungiamo una certa serenità e abbiamo buone relazioni e successi personali, rimane un ultimo passo da compiere: affidarsi completamente a Dio. Questo significa smettere di vedere gli altri come ostacoli e riconoscerli come doni che ci aiutano a realizzarci pienamente.

Si può perseguire i propri progetti e difenderli, ma senza imporre a tutti i costi la propria volontà, affidandosi invece alla fede e all’amore sinceri. Non si tratta di passare dalla conflittualità alla passività, ma di vivere nella fiducia che il progetto più profondo per la nostra vita è quello di Dio. Gesù voleva salvare il mondo con fede, amore e predicazione, e quando incontrava ostacoli, si affidava alla convinzione che quelle stesse difficoltà avrebbero portato a compimento il suo desiderio.

Il mistero della sofferenza non è sinonimo di morte, ma di vita e protezione dal male. Dio, come nostro Padre, soffre con noi e ci protegge, permettendo certe sofferenze per guidarci verso una vita migliore. In questo cammino, Egli ci sostiene con la sua grazia.

Un esempio di questo cammino è quello di una famiglia in cui ogni membro vive la fede in modo diverso: una donna ansiosa ma in cammino verso la fede, un uomo più sereno, e i loro figli, semplici e pieni di fede. Nonostante le differenze e le difficoltà, questa famiglia ha scoperto l’amore attraverso l’accettazione reciproca. La conclusione è che dobbiamo lasciare spazio allo Spirito Santo, che ci guida verso una vita migliore, se ci affidiamo a Lui con semplicità e fiducia.




Il Vangelo della domenica, XXV del tempo ordinario

Mc 9,30-37
Il Figlio dell’uomo viene consegnato… Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Parola del Signore

COMMENTO: Il Vangelo di questa 25ª domenica del Tempo Ordinario è un testo centrale per comprendere la missione di Cristo e il tema della salvezza dell’umanità. Gesù, durante il suo cammino verso Gerusalemme, attraversava la Galilea in silenzio, senza cercare pubblicità. In questo viaggio, insegnava ai suoi discepoli, parlando dell’imminente passione, morte e risurrezione: “Il Figlio dell’uomo sarà ucciso, ma risorgerà dopo tre giorni”. Tuttavia, i discepoli non comprendevano e avevano timore di chiedere spiegazioni.

Durante il viaggio, i discepoli discutevano su chi fosse il più grande tra loro. Giunti a Cafarnao, Gesù li interrogò su ciò di cui parlavano lungo la strada. Dopo aver ascoltato che si confrontavano su chi fosse il più importante, Gesù insegnò loro un principio fondamentale: “Chi vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servitore di tutti”. Con queste parole, Gesù capovolge la logica del potere e dell’orgoglio mondano, invitando i discepoli a essere umili e servire gli altri.

Per rafforzare il suo insegnamento, Gesù prese un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “Fatevi come bambini”, invitandoli a essere piccoli, semplici e umili per entrare nel Regno di Dio. Questo gesto simbolico ricorda che per seguire il vero cammino di fede, bisogna abbandonare l’orgoglio e abbracciare l’umiltà e il servizio agli altri.




Il Vangelo della domenica, XXIV del tempo ordinario

Vangelo
Mc 8,27-35
Tu sei il Cristo… Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Parola del Signore

COMMENTO: In questa XXIV Domenica del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci pone due interrogativi centrali: «Chi è per te Gesù di Nazaret?» e «La tua fede si traduce in opere oppure no?». Nel Vangelo, Gesù chiede ai suoi discepoli: «Voi, chi dite che io sia?». Pietro risponde prontamente: «Tu sei il Cristo», riconoscendo in Gesù non solo un maestro o profeta, ma il Messia, il Figlio di Dio.

Nonostante questa forte professione di fede, quando Gesù preannuncia le sue sofferenze e la sua morte, Pietro si oppone. Gesù lo corregge severamente, dicendogli: «Va’ dietro a me, Satana!». Questo insegnamento sottolinea che la vera fede non si ferma al riconoscimento di Gesù come Dio, ma richiede di seguirlo nel sacrificio e nell’amore, fino alla croce. La fede, come afferma l’apostolo Giovanni, è inseparabile dall’amore: «Gesù è la via, la verità, la vita» (Gv 14,6).

Nella seconda lettura, san Giacomo ribadisce che una fede senza opere è morta. Non basta credere, ma bisogna vivere una vita rettamente, come sottolinea anche san Giovanni Crisostomo: la salvezza deriva da una fede accompagnata da una vita pura e giusta.

Ieri si è celebrata l’Esaltazione della Santa Croce, e oggi la Chiesa ricorda la Madonna Addolorata, esempio di fede incrollabile. Maria rimase accanto a Gesù fino alla croce, soffrendo e pregando, senza mai perdere la speranza nella Risurrezione. Dalla Vergine impariamo a vivere una fede autentica, testimoniata con umile servizio e fedeltà al Vangelo. Amen.




Il Vangelo della domenica, XXIII del tempo ordinario

Mc 7,31-37
Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Parola del Signore

COMMENTO: Il racconto dell’incontro tra Gesù e il sordomuto, narrato da Marco, avviene nel territorio pagano della Decapoli, sottolineando la libertà del Maestro. Per Gesù non esistono barriere o distinzioni tra puri e impuri, buoni e cattivi, ebrei o pagani. Il suo messaggio è universale, rivolto a tutti, senza eccezioni. Egli è la “porta” che invita ad uscire dai limiti delle nostre paure e ad abbracciare il mondo intero.

Un aspetto significativo del racconto è il gesto iniziale di Gesù: “Lo prese in disparte, lontano dalla folla”. Gesù cerca un incontro personale e autentico, lontano dalla confusione e dai curiosi. Questo suggerisce che per incontrare realmente il Signore, occorre allontanarsi dal rumore e dalla distrazione, trovare il coraggio di isolarsi da tutto ciò che ostacola il dialogo con Lui.

Il racconto solleva anche delle domande personali: da cosa dobbiamo liberarci per vivere un vero incontro con Gesù? Quali legami intossicano la nostra vita e ci impediscono di aprirci completamente al suo amore?

Un altro elemento chiave è il coinvolgimento fisico nella guarigione: Gesù tocca le orecchie e la lingua del sordomuto con le sue dita e la sua saliva, un gesto che simbolizza il suo desiderio di rinnovare la creazione. Questa immagine delle mani di Gesù che completano e perfezionano l’uomo è commovente. Gesù apre le orecchie del sordomuto per ascoltare la parola del Padre e scioglie la lingua affinché possa lodare e ringraziare il Creatore.

Gesù non si stanca delle nostre chiusure e della nostra sordità. Egli crede in noi e continua a lavorarci, modellandoci a sua immagine. Ogni volta che ci mettiamo in ascolto della sua Parola, l’esperienza del sordomuto si rinnova in noi, aprendoci alla lode e al dialogo con Lui.




Il Vangelo della domenica, XXII del tempo ordinario

Vangelo
Mc 7,1-8.14-15.21-23
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Parola del Signore

COMMENTO: Il Vangelo di questa domenica affronta il tema della purezza, introdotto da una discussione tra i farisei e Gesù riguardo alle regole rituali, come le abluzioni e il lavaggio di stoviglie. Queste pratiche, per i farisei, erano un modo per rendersi puri davanti a Dio. Tuttavia, Gesù mette in luce come anche i cristiani, nel cuore, possano assumere un atteggiamento simile, dando più importanza alle norme e alle tradizioni piuttosto che alla realtà profonda del rapporto con Dio e con gli altri.

Spesso, infatti, cerchiamo di compensare la nostra insufficienza morale e spirituale con regole esteriori che ci danno l’illusione di essere a posto, ignorando che il vero cambiamento deve avvenire dentro di noi. Modificare il comportamento esteriore è più facile che affrontare una vera conversione interiore, che richiede di riconoscere e accettare la propria debolezza.

I discepoli di Gesù non seguivano questi rituali perché avevano compreso che la salvezza non si raggiunge attraverso le sole azioni esteriori. Tutti i tentativi umani di giustificarsi sono inutili senza un vero cambiamento del cuore. Come dice don Fabio Rosini, “il cuore è il nostro problema”. Le cattive azioni sono il risultato di una menzogna accolta nel cuore, e per risolvere questo problema bisogna partire dall’origine.

La vera pace interiore si raggiunge solo aprendosi alla grazia di Dio, accettando la propria debolezza come punto di partenza per incontrare veramente Dio. Non c’è nulla da temere o di cui vergognarsi della propria fragilità, perché è proprio attraverso di essa che si può giungere alla vera conversione e alla felicità.




Il Vangelo della domenica, XXI del tempo ordinario

Gv 6,60-69
Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Parola del Signore

COMMENTO: Il Vangelo della ventunesima domenica del tempo ordinario, che conclude il mese di agosto 2024, chiude il ciclo di letture sul “pane della vita”. In questo brano, Gesù affronta la reazione dei suoi discepoli alle sue parole, considerate difficili da accettare. Di fronte al loro mormorio, Gesù li sfida, chiedendo se queste parole li scandalizzano e li invita a riflettere su un evento ancora più grande: la sua ascensione al cielo. Questo episodio anticipa il mistero della Pasqua e sottolinea l’importanza dello Spirito Santo nella vita spirituale, affermando che “è lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla”.

Il Vangelo evidenzia anche un momento cruciale: non tutti i discepoli credono in Gesù. Alcuni, infatti, lo abbandonano, incapaci di accettare il livello di impegno richiesto. Questa incredulità, simboleggiata dalla figura di Giuda, viene vista come un riflesso della difficoltà di credere anche nella società contemporanea. La domanda che Gesù pone ai suoi dodici apostoli, “Volete andarvene anche voi?”, riceve da Pietro una risposta di fede: “Signore, da chi andremo?”. Questa risposta sottolinea la consapevolezza che senza Gesù, senza la fede, non c’è una vera direzione nella vita, poiché la nostra esistenza è un dono di Dio.




Il Vangelo della domenica, XX del tempo ordinario

Gv 6,51-58
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Parola del Signore

COMMENTO: Nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, Gesù presenta il discorso sul pane della vita, un messaggio che diventa sempre più radicale e sconvolgente. In particolare, Gesù afferma che chi mangia la sua carne e beve il suo sangue avrà la vita eterna, un concetto che scandalizza i Giudei, e persino alcuni dei suoi discepoli, tanto da abbandonarlo. Queste parole toccano un tema centrale del cristianesimo: il mistero dell’incarnazione e dell’eucaristia.

Gesù, infatti, parla a un popolo che osserva rigidamente la legge che vieta di consumare il sangue, considerato portatore della vita di ogni essere vivente. Nonostante questo, insiste sull’importanza di “mangiare la sua carne e bere il suo sangue”, un chiaro riferimento all’eucaristia. Egli si propone come il vero pane disceso dal cielo, capace di dare vita eterna a chi lo accoglie. Mangiare di Lui non è solo un atto fisico, ma un entrare in comunione con Dio, un vivere una vita che trascende la morte.

L’eucaristia rappresenta il culmine del mistero dell’incarnazione: partecipando al corpo e al sangue di Cristo, il credente non solo riconosce la presenza reale di Gesù nel pane e nel vino, ma si impegna a vivere in sintonia con Lui, prolungando il suo mistero nella propria vita quotidiana. Questo legame tra eucaristia e vita non è solo simbolico, ma concreto: chi si nutre di Cristo decide di seguirlo, imparando l’arte del dono di sé per amore degli altri e condividendo il destino del Signore.

Credere in questo mistero può sembrare sconcertante, ma offre anche la possibilità di una relazione intima e tangibile con Dio, capace di soddisfare i desideri più profondi del cuore umano. Come suggerisce il libro dei Proverbi, l’eucaristia è un invito a lasciare l’inesperienza e vivere una vita piena. Chiediamo quindi la grazia di vivere ogni eucaristia con gratitudine, per diventare parte integrante del corpo di Cristo.