di FEDERICO USAI-
VITERBO – Si è tenuto questa mattina, presso la Sala Consiliare della Provincia di Viterbo, un incontro pubblico che aveva come tema dominante” Deposito Nazionale e Parco Tecnologico DNPT – Carta Nazionale delle aree potenzialmente idonee CNAPI “. E’ stato un incontro che ha evidenziato le legittime rimostranze sia degli amministratori locali che delle associazioni per ciò che riguarda la difesa del territorio contro un eventuale deposito nazionale di rifiuti radioattivi nella Tuscia. Dall’incontro, svolto alla presenza del Presidente della Provincia Romoli, del consigliere Nocchi , dell’ assessore regionale ai rifiuti, Massimo Valeriani, del consigliere regionale Enrico Panunzi, è stato ricordato come la Sogin, la società incaricata della gestione del nucleare, ha pubblicato lo scorso 5 gennaio la Cnai, la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla realizzazione del sito, in cui figurano ben 22 aree della provincia Viterbo che dovrebbero raccogliere i rifiuti radioattivi. I paesi individuati sono : Ischia di Castro, Canino-Cellere-Ischia di Castro, due lotti a Canino, Tessennano-Tuscania, Arlena di Castro-Piansano-Tuscania, Piansano-Tuscania, Tuscania, un’altra area Canino-Montalto, Arlena di Castro-Tessennano-Tuscania, Arlena di Castro-Tuscania 1 e 2, Tarquinia-Tuscania, Soriano nel Cimino, Soriano nel Cimino-Vasanello-Vignanello, Gallese-Vignanello, Corchiano-Gallese. Saranno addirittura 5 delle 12 zone di colore verde smeraldo, cioè più a rischio delle altre: Montalto di Castro (due localizzazioni), Canino-Montalto, Corchiano-Vignanello e Corchiano. La Cnapi è stata stilata sulla base di una guida tecnica del 2014 che poi è stata modificata. La Guida tecnica 29 ha stabilito criteri di localizzazione che ora non corrispondono più alla realtà, perché le normative sono cambiate.
Questa mattina dai vari interventi delle associazioni di categoria e degli amministratori, è emerso che creare il deposito nazionale di rifiuti radioattivi nella Tuscia è una scelta impossibile che andrà a creare un problema per il territorio che è prima di tutto rurale e a vocazione agricola. Per tutti sembra sia ingiusto individuare le aree della Tuscia come potenzialmente idonee, senza aver prima dato ascolto al territorio e alla sua popolazione. Per questo i comitati hanno anche richiesto la partecipazione alle prossime sessioni di osservazioni alla Cnapi e al progetto Sogin con propri rappresentanti e con qualificate documentazioni. La Provincia metterà in piedi una cabina di regia per salvaguardare la Tuscia e per essere sempre informati sollecitando il più possibile la Sogin a pubblicare tutte le risposte alle osservazioni con la trasparenza degli atti.
Nei loro interventi sia il consigliere regionale Enrico Panunzi che l’assessore Massimo Valeriani, hanno sottolineato che non c’è chiarezza e che la Regione Lazio ha presentato un documento, con osservazioni per ribadire la contrarietà al deposito dei rifiuti radioattivi nella Tuscia, che si articola in cinque punti, con una serie di note e allegati aggiuntivi, che specifica come la provincia di Viterbo abbia una forte vocazione agricola e turistica, presenti numerosi vincoli archeologici e paesaggistici e altre caratteristiche che la rendono non idonea a ospitare il sito di stoccaggio delle scorie radioattive.
Inoltre, il Piano regionale di gestione dei rifiuti e il Piano territoriale paesistico regionale non individuano luoghi adatti ad accogliere un deposito unico. E ancora come la Regione Lazio, prima in Italia, ha approvato la legge 11 del luglio 2019, con primo firmatario il consigliere regionale Enrico Panunzi, per l’istituzione e il riconoscimento dei biodistretti. Al riguardo, nella Tuscia, con la delibera di Giunta Regionale 737 dell’ottobre 2019, è stato riconosciuto il biodistretto Via Amerina e delle Forre, avente come ambito territoriale i comuni di Calcata, Canepina, Castel Sant’Elia, Civita Castellana, Corchiano, Fabrica di Roma, Faleria, Gallese, Nepi, Orte, Vallerano, Vasanello e Vignanello. Il biodistretto della Via Amerina e delle Forre nasce dall’esperienza di importanti aziende che hanno fatto la storia dell’agricoltura biologica laziale.
Nel corso dell’incontro è stato ribadito come nella scelta dei siti potenzialmente idonei non si è tenuto conto né dei criteri localizzativi del Piano regionale di gestione dei rifiuti, né delle previsioni del Piano territoriale paesistico regionale. L’inadeguatezza delle vie di comunicazione primarie e delle infrastrutture di trasporto costituisce un ulteriore motivo per rafforzare la contrarietà alla localizzazione del deposito nella provincia di Viterbo.
“L’individuazione nella provincia di Viterbo del deposito – ha ribadito il consigliere regionale Panunzi – sarebbe in netto contrasto con le politiche portate avanti in questi anni dalla Regione Lazio per la valorizzazione e la promozione delle eccellenze agricole, culturali e ambientali del nostro territorio. Inoltre che più forze messe insieme possano portare all’unico scopo di evitare questa individuazione in questo territorio. Attendendo l’ulteriore pubblicazione della Sogin, che sarà poi riproposta al ministero , si deve monitorare passo per passo quello che farà. “
Enrico Panunzi ha ricordato che tolto il segreto di Stato sulla mappa, si è scoperto che le aree “che soddisfano i criteri” sono 22 tra il litorale, la Maremma e i Cimini, e sulla Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) la Tuscia, è stata sempre presente, e le indiscrezioni finora erano limitate al solo sito di Montalto di Castro, per il fatto di aver già ospitato sul proprio territorio una centrale nucleare, quella di Pian dei Gangani. Ora, sono stati i ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico a dare il “nulla osta” alla pubblicazione della mappa da parte della Sogin e i ritardi avevano provocato l’apertura a fine ottobre di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
Per dovere di cronaca dobbiamo ricordare che per individuare il sito tra i 67 in ballottaggio servirà ancora qualche anno, per costruirlo altri quattro. Inizialmente il deposito ospiterà 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media intensità radioattiva; successivamente ne arriveranno altri 17 mila ad alta attività, che resteranno stoccati per 50 anni, per poi essere interrati in un altro deposito geologico di profondità. L’operazione ha un costo di 1,5 miliardi di euro.
I criteri, di carattere geologico ma anche amministrativo, per individuare i siti erano stati indicati dall’Ispra nel 2014. Tra le altre, sono state scartate le zone vulcaniche, sismiche o interessate da fenomeni di faglia, nonché quelle più a rischio idrogeologico.
Cosa strana, viene da pensare, visto che la Tuscia in anni recenti è stata colpita da terremoti, come quello di Tuscania (uno dei siti in lista) del 1971, frane e alluvioni disastrose come quelle del litorale. Senza contare che la provincia di Viterbo ospita due grandi laghi di origine vulcanica come Bolsena e Vico. Gli ettari di territorio interessato sono 150, 110 per il deposito vero e proprio e 40 per il circostante parco tecnologico. Il deposito avrà tre barriere protettive, sarà ricoperto da una collina artificiale, da una quarta barriera e da un manto erboso.
“Le barriere ingegneristiche dovranno garantire l’isolamento dei rifiuti radioattivi per più di 300 anni, ovvero fino al loro decadimento a livelli tali da non essere più nocivi per la salute dell’uomo e dell’ambiente – viene detto in un articolo del Corriere della Sera – si tratterà di 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media attività: 50mila dallo smantellamento degli impianti nucleari italiani e 28mila dalla ricerca, medicina nucleare e industria. “
Siamo certi che dopo l’incontro di oggi tutti tra associazioni e amministratori combatteranno contro questo mostro che si sta abbattendo sulla Tuscia e su questa provincia, ricordando, come ha affermato l’assessore Mariani, che ” Uno dei problemi principali in Italia sono i rifiuti e la possibilità di poterli smaltire, ma che, pur apprezzando l’impegno del governo nel porre fine ai ritardi nella ricerca di un deposito unico per lo smaltimento degli scarti radioattivi, il Lazio è indisponibile e che lui – continua Mariani – più di tutti, come assessore regionale ai rifiuti, ha interesse che a livello nazionale venga realizzato un impianto che in sicurezza gestisca quello che oggi va gestito, realizzando l’impianto che serve all’Italia nel posto più idoneo e equilibrato.”
E’ importante, per Mariani, chiudere la stagione del nucleare in piena sicurezza con l’individuazione di un deposito nazionale, ma resta fondamentale la partecipazione e il confronto con le amministrazioni locali per condividere una scelta che avrà una notevole ricaduta sul territorio ribadendo che: “Il Lazio non può sostenere un ulteriore aggravio delle condizioni ambientali legate al sito unico dei rifiuti radioattivi”.