Una riflessione sulla politica nazionale e locale del prof. Mattioli

di FRANCESCO MATTIOLI-

Generalmente il voto alle amministrative fa registrare percentuali più alte che alle politiche per la semplice ragione che l’elettore si preoccupa maggiormente di ciò che gli capita sotto casa ed è raggiunto più facilmente da una propaganda personalizzata (mio cognato mi ha chiesto il voto…, ecc.). Tuttavia oggigiorno alle elezioni amministrative (regionali e soprattutto comunali) si presenta a votare non più del 60% degli elettori e, ai ballottaggi, si vince con il 51%: il rischio forte è che chi governa, presidente della regione o sindaco, lo faccia in nome e per conto di meno di un terzo degli elettori aventi diritto. Con una legittimazione statistica sì, ma politica – e soprattutto sociale – molto minoritaria.
Che ne è della democrazia, del gusto di riempire le sezioni elettorali di votanti e di esprimere liberamente le proprie scelte politiche, un privilegio per il quale i nostri padri e i nostri nonni ottant’anni fa hanno dato perfino la vita?
Si dirà che le cose cambiano, la Storia cammina e non fa sconti. Sociologi, politologi, antropologi della prima ora e tuttologi dell’ultim’ora vi spiegheranno che l’elettorato è un po’ deluso di certa “democrazia” del tutto cambia perché nulla cambi; che molte altre lotte si possono svolgere su terreni che non sono quelli della politica tradizionale; che la vita quotidiana dell’individuo è caratterizzata da un ripiegamento su sé stesso e si svolge ormai in una dimensione bio-mediatica (come scrive il Censis) che si divide tra internet, facebook e instagram; che nessuno legge un articolo di oltre quattrocento parole e quindi non è invitato alla riflessione, ma solo ad assorbire “fatti” (veri o falsi che siano) .
I “politici” poi ci mettono del loro. Sarà che la scolarizzazione politica si è diffusa in ampiezza, nell’uno vale uno della tuttologia da pianerottolo, certo è che la sapienza con cui si governa la democrazia scarseggia sempre più. Che ognuno abbia, a prescindere, la soluzione personale a tutti i problemi del mondo – e quindi della città – è normale; fin dai tempi antichi. Oggi tuttavia la soluzione si offre all’elettorato senza neppure salire, che so, su un pur precario trespolo di competenze reali. L’unica certezza è che se è l’avversario a decidere, certamente è una scelta sbagliata, fosse anche 2+2=4 (del resto, c’è chi arzigogolando riesce a dimostrare che 2+2 può anche fare 5). Una delle cose più singolari della politica locale (da nord a sud, sia chiaro) è che X, dopo essere stato al potere per cinque anni senza far nulla per attivare il servizio Y, un volta che si trova all’opposizione si lamenti quasi scandalizzato che quel servizio non ci sia. Un’altra cosa che resta indecifrabile è il susseguirsi di faide e ordalìe, anche personali, all’interno di una coalizione. E’ vero che ormai qualsiasi coalizione è un “campo largo” più o meno difficile da omogeneizzare; è vero che uno schieramento “civico” rischia di essere ancor più eterogeneo di quello di una coalizione, perché mancando il riferimento ideologico si può solo confidare in un precario “siamo tutti di un sentimento”; ed è vero che l’omogeneizzazione e la standardizzazione delle strategie politiche, a livello locale finisce per mortificare il personalismo e l’amor proprio di chi si butta nell’impresa. “Disciplina di partito?” mi ribatté esterrefatto un politico “ma noi siamo un movimento, mica siamo più un partito, noi condividiamo un progetto, ma ognuno pensa con la sua testa”. Giusto, però l’uniformità di vedute diventa una roulette russa, e in queste condizioni è un po’ difficile procedere, tanto meno governare…
Insomma, se l’elettore deve ritrovare in politica lo stesso clima che sperimenta nel condominio o che osserva nel pollaio, è chiaro che la domenica “va al mare” o resta in casa a pestare i tasti del suo cellulare piuttosto che presentarsi all’inutile rito della “democrazia diretta”. C’è veramente tanta differenza tra noi e il povero elettore russo o cinese che va ad eleggere un capo che si farà solo gli affari suoi e quelli della sua ghenga, convinto di essere sempre e soltanto dalla parte giusta, destra, sinistra o trasversale che sia?
Qualcuno dal “salotto buono” dell’intellettualismo politico obietterà, quasi scandalizzato per tanta lesa maestà, che questo modo di descrivere la nostra democrazia è estremista, qualunquista, catastrofista e perfino demenziale.
Peccato che, a dispetto dei salottieri, il re sia nudo…
D’altronde resta altrimenti difficile trovare una spiegazione alternativa per una politica che negli ultimi vent’anni ha perso più di un terzo dei suoi estimatori. E non si dia la colpa ai social, come oggi è d’uso fare liberando la propria coscienza; perché oramai anche chi fa politica è un assiduo fruitore di social. Poffarbacco, dove trovare così a buon mercato una “piazza” tanto vasta per le proprie esibizioni?
Chiudiamo con un caricatura di ricerca sul campo.
Domanda: “Scusi, perché non va a votare?
Risposta di A:“ Perché tanto, francia o spagna, basta che se magna”.
Risposta di B: “Tanto le buche c’erano ieri e ci saranno anche domani”.
Risposta di C: “ Eh, sa, sono molto indeciso…”
Domanda: “Cioè?”
Risposta sempre di C: “Eh, non ci si capisce più nulla… bianco che diventa nero, nero che diventa bianco… boh”.
Chiudo ancora con una domanda: ma siamo sicuri che la “signora Maria”, indicata da taluni come la voce del popolo indignato, sia andata a votare?

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