VITERBO- Riportata alla luce, dai viterbesi Luca Domenico Scipioni e Luca Laurenti (soci del CAI di Viterbo) impegnati in un’escursione alla Palanzana, l’epigrafe con il nome dell’autore di una scultura in peperino raffigurante il leone simbolo della città di Viterbo.
L’opera è stata realizzata nel lontano 1915 dal signor Giuseppe Guerra, detto “cicchettone” ottimo scalpellino delle cave Anselmi, ed è situata in località Fosso Luparo, poco distante dal vecchio acquedotto della Palanzana. Per raggiungere la località in cui è collocato l’oggetto della scoperta, gli escursionisti hanno percorso il sentiero “G. Lupattelli”, intitolato al compianto presidente del CAI e recentemente inaugurato dalla sezione locale, facilmente accessibile dalla zona Lidl Monti Cimini.
Le foto, scattate dalle persone sopracitate, mettono in luce la precisione con cui è stato realizzato tale simbolo, certamente prezioso e facente parte dei molteplici beni che sarebbe interessante tracciare e riportare a nuovo splendore.
Ci sembra interessante ricordare la storia del Leone inserito nello stemma della nostra città e lo facciamo attingendo alla descrizione fatta dallo storico Cesare Pinzi nel suo “I Principali monumenti di Viterbo” edito nel 1889.
“Il leone era l’antico stemma guelfo di Viterbo sin dall’XI secolo, la palma, invece, era l’emblema della città di Ferento che venne aggiunta allo stemma viterbese dopo la sconfitta e la distruzione nel 1172 di Ferento. L’asta, sormontata dall’aquila bicipite, fu donata alla città di Viterbo dall’Imperatore Federico I, Barbarossa, nel 1167. Infine, la bandiera che viene sorretta dal leone, con la croce bianca in campo rosso e con le chiavi decussate fu donata alla città di Viterbo nel 1315.
Sembra che dal 1172 lo stemma di Viterbo fosse rappresentato soltanto dal leone, legato all’ antica leggenda della città etrusca Surina, antico nome di Viterbo, a sua volta collegato alle sorgenti termali dove le antiche popolazioni vedevano la manifestazione del dio inferi Suri, che aveva come simbolo il leone legato al mito del dio Ercole che si vestiva delle spoglie leonine e anch’esso legato alle acque calde termali.
Si sa che un tempo, sul colle dove sorge il duomo di Viterbo, c’era un tempio dedicato ad Ercole, culto che durò fino al IV secolo d.C., di cui rimane a memoria di questo antico culto pagano una grande sala nel Palazzo dei Priori detta Erculea.
Sempre il Pinzi, riprende il racconto di Niccolò della Tuccia, storico e cronista della Viterbo del XII secolo: “era tra noi comune credenza che Ercole, volendo confondere et excedere alla forza di Caco sul monte Aventino, passò per le nostre pianure et trovò populi de Civita Musarna et Surrena non haver receptacoli…et cusì fessi edificare il Castello d’Ercole (il Castrum Viterbii, cui diede il proprio nome), e diegli per segno il Lione.”
Così, quando nel Medioevo Viterbo decise di fregiarsi di uno stemma venne riportata, conservata e trasmessa dalla memoria collettiva, la figura di Ercole e del leone: il leone di Ercole. Un leone che non si caratterizzava per essere rampante, ma come è uso definirlo in gergo araldico, “passante, che si muove fiero, robusto e forte, da destra a sinistra.
Il leone era preferibile dalla città guelfa in contrasto all’aquila, assunta come simbolo dalle città di parte ghibellina. L’aquila comparve, comunque, nello stemma tra il 1167 ed il 1172 per la concessione da parte di Federico Barbarossa del proprio vessillo imperiale affinché si accattivasse le simpatie della popolazione.
Daniela Proietti